Le autoblinde del Formalismo. Conversazione con Viktor B. Šklovskij tra memoria e teoria

Le autoblinde del Formalismo. Conversazione con Viktor B. Šklovskij tra memoria e teoria

«Le fiammelle che si sono accese nei decenni della nostra misteriosa avventura». Tra bilancio critico, memoria biografica e ritratto delle avanguardie, l'intervista-conversazione col padre del formalismo russo.

«La vita connette un'infinità di cose diverse che, quando le vivi, ti sembrano separate, a sé stanti, proprio come singoli fotogrammi. Succede che non tu, ma loro stessi provvedono a mettersi in relazione tra di loro e finiscono col cambiare di senso». Šklovskij fu il massimo rappresentante del formalismo russo, vale a dire la fonte forse più innovativa della critica letteraria contemporanea; visse da protagonista tutte le avanguardie che lo stalinismo annientò; eppure rimase tutta la vita a lavorare, in discreto isolamento, nell’URSS. Un personaggio che appartiene a quella che lo storico Hobsbawm considerava la zona grigia del passato. Troppo vicino per porlo nell’asettica distanza della storia (era nato nel 1893 e morto nel 1984), ma già troppo lontano per non considerare con una certa ironia speranze e sicurezze, per poterne riconoscere una viva attualità. Un'ambiguità che lo rende, in realtà, ai nostri occhi, per il tipo di avventura di vita contraddittoria e strana, contenente quasi per ogni cosa il suo contrario, un perfetto rappresentante del Novecento come forse ci appare. Questa autobiografia politica umana e intellettuale, è il frutto di una lunga intervista-conversazione rilasciata all'inviato dell'«Unità» nel 1968, all'apice cioè del dissenso a proposito dell'invasione della Cecoslovacchia. E si legge in modi diversi contemporaneamente. Come un testo teorico: la messa a punto critica dell'analisi artistica come esame dell'opera come pura forma, artificio che genera i suoi contenuti: la questione di realismo e non realismo, l'autonomia e la dipendenza dell'opera dal suo tempo, il concetto di avanguardia e di arte rivoluzionaria, i rapporti tra le varie forme d'arte e il loro meticciarsi nelle manifestazioni moderne quali il cinema. Un secondo modo di leggerlo è come una storia delle numerose avanguardie degli inizi del secolo raccontata da uno che le visse tutte: «Le fiammelle che si sono accese e si sono ben presto spente nei decenni della nostra misteriosa avventura», con le icone del mito: Majakovskij, Kandinskij, la Achmatova, Esenin, Isadora Duncan, Bulgakov, Chlebnikov, Eisenstein, Mandel'stam, Malevic e tutti gli «ismi», nel tramutarsi delle loro utopie in disperazione. Vi è poi un terzo modo che è il più malinconico ed emblematico: «l'esito reale degli ideali di gioventù», il ribelle invecchiato, sopravvissuto a tutti i compagni; ovvero il modo impareggiabile che ebbe il secolo scorso di insegnare ai suoi intelletti più arditi di adeguarsi alla più triste realtà in nome del futuro.

Autore

Enzo Roggi (1929), giornalista, inviato ed editorialista de «l'Unità» dal 1965 al 2000; corrispondente da Mosca dal 1966 al 1970. Membro della commissione centrale di controllo del Pci. Attualmente coordina il mensile culturale «Argomenti umani» e dirige il settimanale on-line «Pontediferro».

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