Questo libro narra di un auto da fé dell'Inquisizione contro le locuste che infestavano la Sardegna. Nasce il sospetto che l'Apologo del giudice bandito sia un apologo della fine della Modernità.
Il miglior sistema per nascondere una cosa, secondo il cavalier Dupin di Edgar Allan Poe, è di lasciarla dov'è più ovvio che stia: un'allusione, allora, sarebbe più sottile, più occulta, se in qualche modo si rendesse esplicita. Questo libro porta nel suo primo rigo una data: il 1492, una data celebrata, storicamente esplicita, e narra di un auto da fé dell'Inquisizione contro le locuste che infestavano la Sardegna. Ma soprattutto raffigura il brulichio intorno a quel processo, in un eccesso di movimento che sembra suggerire una totale assenza di cambiamento: personaggi e comparse si agitano e non compiono azioni; i luoghi, dal sontuoso palazzo al mercato vociante all'abituro, offrono prospettive diverse di un'unica desolazione: tutto e tutti, folle e solitudini, cercano come un principio d'individuazione. E avvicinando lo sguardo - poiché questa prosa ansiosa, agitata da una specie di furia materiale, esprime immagini - nasce il sospetto che sia attorno a quella data che si addensa l'apologo. Che l'Apologo del giudice bandito sia un apologo della fine della Modernità.
1986
La memoria n. 126
148 pagine
EAN 9788838902888
Sergio Atzeni, nato nel 1952 in provincia di Cagliari, è morto nell'isola di San Pietro a sud della Sardegna nel 1995. Per questa casa editrice ha scritto i romanzi: Apologo del giudice bandito (1986), Il figlio di Bakunìn (1991); e, pubblicati postumi, Bellas mariposas (1996) e Raccontar fole (1999). Inoltre Il quinto passo è l'addio (Milano, 1995) e Passavamo sulla terra leggeri (Milano, 1996).
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