«Le fiammelle che si sono accese nei decenni della nostra misteriosa avventura». Tra bilancio critico, memoria biografica e ritratto delle avanguardie, l'intervista-conversazione col padre del formalismo russo.
«La vita connette un'infinità di cose diverse che, quando le vivi, ti sembrano separate, a sé stanti, proprio come singoli fotogrammi. Succede che non tu, ma loro stessi provvedono a mettersi in relazione tra di loro e finiscono col cambiare di senso». Šklovskij fu il massimo rappresentante del formalismo russo, vale a dire la fonte forse più innovativa della critica letteraria contemporanea; visse da protagonista tutte le avanguardie che lo stalinismo annientò; eppure rimase tutta la vita a lavorare, in discreto isolamento, nell’URSS. Un personaggio che appartiene a quella che lo storico Hobsbawm considerava la zona grigia del passato. Troppo vicino per porlo nell’asettica distanza della storia (era nato nel 1893 e morto nel 1984), ma già troppo lontano per non considerare con una certa ironia speranze e sicurezze, per poterne riconoscere una viva attualità. Un'ambiguità che lo rende, in realtà, ai nostri occhi, per il tipo di avventura di vita contraddittoria e strana, contenente quasi per ogni cosa il suo contrario, un perfetto rappresentante del Novecento come forse ci appare. Questa autobiografia politica umana e intellettuale, è il frutto di una lunga intervista-conversazione rilasciata all'inviato dell'«Unità» nel 1968, all'apice cioè del dissenso a proposito dell'invasione della Cecoslovacchia. E si legge in modi diversi contemporaneamente. Come un testo teorico: la messa a punto critica dell'analisi artistica come esame dell'opera come pura forma, artificio che genera i suoi contenuti: la questione di realismo e non realismo, l'autonomia e la dipendenza dell'opera dal suo tempo, il concetto di avanguardia e di arte rivoluzionaria, i rapporti tra le varie forme d'arte e il loro meticciarsi nelle manifestazioni moderne quali il cinema. Un secondo modo di leggerlo è come una storia delle numerose avanguardie degli inizi del secolo raccontata da uno che le visse tutte: «Le fiammelle che si sono accese e si sono ben presto spente nei decenni della nostra misteriosa avventura», con le icone del mito: Majakovskij, Kandinskij, la Achmatova, Esenin, Isadora Duncan, Bulgakov, Chlebnikov, Eisenstein, Mandel'stam, Malevic e tutti gli «ismi», nel tramutarsi delle loro utopie in disperazione. Vi è poi un terzo modo che è il più malinconico ed emblematico: «l'esito reale degli ideali di gioventù», il ribelle invecchiato, sopravvissuto a tutti i compagni; ovvero il modo impareggiabile che ebbe il secolo scorso di insegnare ai suoi intelletti più arditi di adeguarsi alla più triste realtà in nome del futuro.
1 Gennaio 2006
La nuova diagonale n. 61
148 pagine
EAN 9788838920110
Enzo Roggi (1929), giornalista, inviato ed editorialista de «l'Unità» dal 1965 al 2000; corrispondente da Mosca dal 1966 al 1970. Membro della commissione centrale di controllo del Pci. Attualmente coordina il mensile culturale «Argomenti umani» e dirige il settimanale on-line «Pontediferro».
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