Un giovane conte di provincia assiste distratto al dissesto della propria casa e del relativo patrimonio. E distrattamente si trova ad essere involontario padrone di una inquietante cagna nera.
Forse predecessore, e abbastanza vicino nel tempo, di questo racconto poco noto di Panzini è una delle novelle maestre del genere «nero», il Tè verde di Sheridan Le Fanu in cui una scimmietta ghignante perseguita un dotto ecclesiastico, a premonizione di un destino di perdizione. Nella Cagna nera di Panzini, che l'altro racconto non conosceva, l'animaletto è una randagia dagli occhi imploranti che trascina un conte impoverito, a fatica sottrattosi dalla decadenza morale, nell'abisso che comunque evidentemente l'attendeva. L'intento di Panzini, quando scrisse il racconto nel 1895, era di narrare un processo di impazzimento, seguendo l'interesse per le psicopatologie che covava nelle letterature del tempo - e con l'ausilio di una scrittura di proposito monologante e antinaturalistica, a rendere il progressivo confondersi. Per noi lettori di oggi, che quella curiosità, da scientifica, abbiamo riportato nel più vasto mistero, la cagna nera potrebbe raffigurare la parte che frequenta gli inferi e il suo invincibile prevalere, a volte.
1 Gennaio 1991
La memoria n. 228
156 pagine
EAN 9788838906848
Non disponibile
Alfredo Panzini (Senigallia, 1863-Roma 1939), professore di ginnasio e poi accademico d'Italia, scrisse numerosi romanzi raccolti poi nel volume Sei romanzi fra due secoli (1938) e in quello Romanzi d'ambo i sessi (1941). È autore del Dizionario moderno (1905). Questa casa editrice ha pubblicato anche Grammatica italiana (1982).
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