Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l'aborto

Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l'aborto

Un libro dibattuto, un caso polemico, un dilemma aperto: Sofri contro la campagna per la moratoria dell'aborto.

... Ehi, Giuliano. Hai colto, con la prontezza di riflessi che accompagna la tua intelligenza come il palo accompagna il ladro, l’occasione dello slogan: moratoria dell’aborto. Che cosa significa? Niente, direi. È uno slogan, appunto, reso efficace dal calco capovolto di quell’altro, moratoria della pena capitale, al quale rubasti lestamente la scena e guastasti la festa. Alla lettera, non significa niente: le donne non possono sospendere a tempo indeterminato gli aborti, a differenza dagli Stati, che possono sospendere le esecuzioni capitali... C’è una sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, e non c’è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale fino a che la creatura che cresce dentro il corpo materno non se ne sia staccata. L’ingerenza umanitaria sa che uno Stato non esaurisce in sè i cittadini individui. Madre e nascituro sono invece due e tutt’uno. Senza questa ammissione, l’habeas corpus non esiste, se non come diritto dei maschi per i maschi.
La condanna delle demografie forzate alla cinese è conseguente al riconoscimento dell’autodeterminazione delle donne, che è la qualità più preziosa delle democrazie. Tu credi, al contrario, che autodeterminazione delle donne (fino nella dolorosa decisione di abortire) e oppressione degli Stati sulle donne costituiscano un medesimo flagello. Questa confusione è la causa della lacerazione che la tua iniziativa non può che provocare. Viceversa, una campagna che denunciasse la vera violenza carnale delle demografie forzate, l’abolizione per legge di fratelli e sorelle, la persecuzione delle bambine, potrebbe riscuotere l’adesione più sentita. Mi dici: «Io la chiamo moratoria. Tu chiamala come vuoi». Come la chiamerei io, la cosa giusta da fare? Moratoria è mediocre, anche «Moratoria della pena di morte». «Nessuno tocchi Caino» è un titolo bello: lo pensò una gran donna. Se fosse viva, potrebbe chiamarla «Il mondo salvato da una bambina», e muovere da lì alla conquista delle nazioni unite, e delle Nazioni Unite. In India è attiva la campagna «Salviamo le bambine». È giusto, ma mi sembra più bello pensare che siano le bambine a salvarci...     A. S.

Autore

Adriano Sofri è nato a Trieste nel 1942. Con questa casa editrice ha pubblicato: Memoria (1990), L’ombra di Moro (1991), Le prigioni degli altri (1993), Il nodo e il chiodo (1995), Lo specchio di Sarajevo (1997), Piccola posta (1999), Chi è il mio prossimo (2007), Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto (2008), La notte che Pinelli (2009), Machiavelli, Tupac e la Principessa (2013), Reagì Mauro Rostagno sorridendo (2014), Una variazione di Kafka (2018) e C'era la guerra in Cecenia (2023).

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