I reportage dal fronte di Soldati, inviato dell’“Avanti!” e dell’“Unità”, tracciano un’apologia dell’esercito italiano impegnato a fianco di quello alleato all’indomani dell’armistizio. Un parziale correttivo all’immagine dei militari tutti in fuga nel «tentativo di trovare un’anima eroica alla rinascente Italia».
Roma, 9 settembre 1944. Al Teatro Valle si spengono le luci di scena del varietà satirico intitolato al destriero bianco di Mussolini: Il suo cavallo, per l’appunto. Nella città da poco liberata, lo spettacolo va alla meno peggio. Sembra però che il pubblico «continui a divertirsi molto alla imitazione di Mussolini fatta da Campanini». Se ne stupisce Steno: «Strano che il Duce ancora non abbia stancato». Ed è Steno che, con la collaborazione di Castellani, Soldati e Longanesi, ha messo su lo spettacolo. L’ultima scena si è chiusa. Dietro le quinte, si accende il polverone di luce che annuncia la serata mondana. Di questo nuovo e incongruo palcoscenico approfitta Soldati, per recitare la parte dell’istrione, godendo di darsi in palinodia. Si rivolge agli amici e, quasi per sfida, «annuncia che parte come inviato speciale per il fronte»: sulle piste degli Alleati e del Corpo Italiano di Liberazione; là dove si combatte contro le truppe tedesche che, tra varie atrocità, continuano a occupare il paese, lontano da una capitale che sgangheratamente ride della sua recente pagliacciata storica e intanto crede di emanciparsi parlando un italiano lubrificato dallo slang degli Alleati: «La paffuta e dipinta dattilografa, assunta quindici giorni fa, vi risponde in cattivo italiano, esplodendo la labiale, e mangiando l’erre, come se, ormai, fosse troppo abituata a parlare questo inglese americanizzato: crede ormai di appartenere a una razza superiore e tratta quale paria il povero postulante italiano che le sta innanzi. Non appartengono a questa classe di servi… i primi italiani combattenti a fianco degli alleati». Le corrispondenze di guerra, scritte per l’«Avanti!» e per «l’Unità», edite e inedite, in parte raccolte dallo stesso Soldati ma mai date in volume, sono il necessario complemento del libretto Fuga in Italia, pubblicato nel 1947: il libro edito racconta «una disavventura picaresca ed antieroica», una prima «fuga» da Roma, nel generale sbandamento succeduto all’armistizio fra l’Italia e gli angloamericani, e alla dispersione dell’esercito italiano; questo libro inedito è una seconda «fuga» da Roma, nel «tentativo di trovare un’anima eroica alla rinascente Italia». La prosa è rapida, sobria e ritenuta. Sulla pagina, una compassionante tenerezza per gli umili e onesti fanti di un eroismo che rifugge il monumento, muove le parole verso un’affinità con la spoglia poesia di Saba; e assimila i travet dell’esercito ai tenaci muli: animali fraterni dal «naso camuso quasi semita», che con i soldati condividono, nelle comuni fatiche della guerra, il più dignitoso dei contegni. Talvolta la pagina si arruffa, e accoglie echi da Campana. «Le vele le vele le vele», del poeta, schioccano dentro «le sigle le sigle le sigle» del reporter. Salvatore Silvano Nigro
1 Gennaio 2009
La memoria n. 775
136 pagine
EAN 9788838923579
Mario Soldati è nato a Torino nel 1906 ed è morto a Tellaro, La Spezia nel 1999. Questa casa editrice ha pubblicato 24 ore in uno studio cinematografico (1985), America primo amore (2003), I racconti del Maresciallo (2004), La verità sul caso Motta (2004), Fuga in Italia (2004), La giacca verde (2005), La finestra (2005), Il padre degli orfani (2006), Cinematografo (2006), Un viaggio a Lourdes (2006), L'amico gesuita (2008), ah! il Mundial! (2008) e Corrispondenti di guerra (2009).
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