Il racconto appassionato di un’utopia, quella di David Josef Bach e della sua politica musicale: fare della classe operaia l’erede attivo della cultura e della musica «borghese» e protagonista della modernità.
«Richard Strauss ha una volta osservato che dirigendo il primo tempo della Terza di Mahler finiva con l'immaginare "interminabili schiere di lavoratori in marcia verso il Prater per celebrarvi il Primo Maggio"». È un'idea largamente condivisa che la Grande Vienna sia stata uno dei cruciali laboratori del Novecento. Questo studio, ambizioso, completo e complesso, della Vienna tra fine Ottocento e avvento nazista, che mette assieme la storia, la storia della musica e la musicologia, la storia della cultura e quella sociale, lo riafferma. Ma lo riconsidera, guardandolo dalla prospettiva di un'esperienza particolare. Si tratta del grandioso tentativo, da parte della socialdemocrazia e dei teorici dell'austromarxismo di fare del proletariato l'erede della tradizione musicale viennese e, attraverso questo, erede della cultura classica tedesca. Un’utopia intellettuale germinante intorno all’organizzazione dei cosiddetti «Concerti sinfonici dei lavoratori viennesi», voluta da David J. Bach – ebreo viennese, allievo di Mach, musicista di formazione, amico di Schoenberg, sostenitore di Anton Webern, responsabile culturale del partito socialdemocratico, figura ancora poco esplorata della Grande Vienna – e il cui obiettivo era quello «di creare con e per il proletariato una tradizione del moderno che avesse Mahler come perno e Webern come suo interprete». Insomma di fare della classe operaia l’erede attivo della cultura e della musica «borghese» e protagonista della modernità. Secondo Piero Violante quest’esperimento ha subito una censura e una cesura. La cesura è consistita nel fatto che la sua violenta interruzione ha creato una coupure nella storia dell’interpretazione e della ricerca del canone musicale a datare dall’avvento dell’austrofascismo. Da quel momento i «concerti sinfonici dei lavoratori viennesi» sono stati rimossi. Una censura operata – poi – dall’agire di due fattori diversi ma in effetti convergenti. Da un lato «la melassa della nostalgia del mondo di ieri e del mito asburgico». Dall’altro l’egemonia del comunismo staliniano che ha derubricato a «imborghesimento dei lavoratori», insieme al progetto socioculturale in cui si inscriveva, quell’intera storia. Una storia che questa ricchissima ricerca restituisce e ricompone raccontando la Vienna di quei giorni, nelle vicende di intellettuali dalla tipologia irripetibile, nell’evolversi di organizzazioni di masse umane, nell’interconnettersi di idee.
1 Gennaio 2007
La nuova diagonale n. 68
232 pagine
EAN 9788838922442
Piero Violante (Bagheria 1945), politologo e giornalista, già direttore del Dipartimento «Gaetano Mosca», ha insegnato Storia del pensiero politico e Sociologia della musica presso l’Università di Palermo. Critico musicale de «la Repubblica»; dirige il semestrale on line di storia delle idee www.intrasformazione.com. Autore di numerosi saggi, con Sellerio ha pubblicato: Eredità della musica. David J. Bach e i concerti sinfonici dei lavoratori viennesi, 1905-1934 (2007), I papillons di Brahms (2009), Swinging Palermo (2015), Lo spettatore musicale (2021).
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