L'ispettore Grant di fronte al caso più difficile: provare l'innocenza di Riccardo III, sovrano del XV secolo accusato di un duplice infanticidio. Un classico, citato tra i cento polizieschi imperdibili di tutti i tempi.
Forse perché in Italia solo da poco tempo il racconto «giallo» ha vinto ogni discriminazione che lo esiliava dalla parte nobile della repubblica delle lettere, il nome di Josephine Tey da noi non ha una notorietà all'altezza della sua importanza. Si pensi che, in un catalogo critico di una decina di anni fa, introdotto da Patricia Highsmith - Crime & Mistery -, questo La figlia del tempo è citato fra i cento migliori polizieschi di tutti i tempi. Dagli anni Trenta ai Cinquanta, infatti, la Tey è stata una creatrice di grande forza innovativa, con l'invenzione del suo personaggio, l'ispettore capo Grant, che unisce l'aristocratico talento del venerando detective dilettante alla tenacia da segugio del poliziotto londinese che ama perdersi nella nebbia. Non c'è nebbia però in questo racconto, diventato una sorta di esemplare irripetibile nella storia del poliziesco. L'ispettore capo Grant è costretto in ospedale per un banale incidente e si annoia a morte. Un'elegante amica gli porta delle stampe che lo distraggano. Tra queste il ritratto di Riccardo III, famigerato sovrano inglese del xv secolo di cui la storia narra che fece uccidere i nipotini per impadronirsi del trono. Ma c'è qualcosa in quel viso, in quella postura, che accende l'intelligenza del raffinato detective e la pietà del poliziotto. E studiando carte, test e documenti, Grant scopre quanto la verità sia figlia del tempo: il tempo, che distorce e che riabilita.
1 Gennaio 2000
La memoria n. 480
288 pagine
Fuori catalogo
Josephine Tey, pseudonimo di Elizabeth MacKintosh (1896-1956), scozzese, ha scritto numerosi polizieschi con l’ispettore capo Grant, tra cui L’uomo nella fila, il primo della serie, nel 1931.
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