La bugia della «guerra civile», i suoi spettatori, e le sue vittime.
Dopo che ci siamo arrovellati - ammesso che l'abbiamo fatto - sui nostri sentimenti per Sarajevo, ecco finalmente uno che ci dice con che sentimenti verso il resto del mondo la gente di Sarajevo si misura da anni con la morte, la mortificazione e la menzogna. Sono molte le cose, in queste pagine, che ci daranno fastidio. Ci darà fastidio scoprire quanto valgano davvero (valgono infatti, ma non tanto) i nostri aiuti umanitari; quale infamia possa mascherarsi con le magnanime e sconsolate dichiarazioni sul fatto che «tutte le parti sono altrettanto responsabili»; quanto poco eccentrica e primitiva e rassicurantemente «balcanica» sia Sarajevo e la sua gente, e quanto invece vicina e simile a noi (simile, almeno, a quello che noi ci vantiamo e ci illudiamo di essere); quanto poco, infine, ci si aspetti lì da noi - in un senso, Sarajevo ci ha abbandonati al nostro destino. Giornale e diario quotidiano, gli scritti di Dizdarević tormentano soprattutto per l'ossessiva ripetizione del resoconto di una vita con la morte e la fine di tutto, in cui ogni giorno è uguale al precedente ma peggiore, e mille volte si scrivono le parole fatali ormai, mai più, per riscriverle ancora una volta ancora più fatali e definitive. D'altra parte Dizdarević mostra, giorno dietro giorno, la faccia che nessuno vuol vedere di questa sporca guerra: e cioè che c'è una minoranza di banditi prepotenti e strapotenti, e tanta gente inerme, falcidiata e costretta ad abbassarsi sotto il tiro dei cecchini, ma attaccata alla propria città e alla vita civile, al ricordo di un altro modo di essere delle cose che è stato e che dovrà tornare. Se e quando tornerà, dovrà pur esserci uno specchio in cui ciascuno si guarderà in faccia. Anche questa resistenza asciutta e lucida, senza speranze e senza preghiere, può darci fastidio, qui, nel nostro padiglione degli specchi ruffiani. Adriano Sofri
1 Gennaio 1994
La memoria n. 301
180 pagine
EAN 9788838910159
Non disponibile
Figlio di un ufficiale bosniaco, Zlatko Dizdarević è cresciuto «in una famiglia in cui ci si sentiva prima di tutto jugoslavi». Ha 53 anni, è sposato con Biljana e ha due figli. È il responsabile della redazione di guerra di «Oslobodenje» (significa: Liberazione), il quotidiano di Sarajevo che contava 60.000 copie prima della guerra, e ha continuato a uscire nella città assediata. Al giornale è stato assegnato, nel dicembre 1993, il Premio Sacharov dal Parlamento europeo.
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