Goliarda sapeva battersi generosamente per una idea, ma sapeva anche sorridere di sé e degli altri con distaccata ironia. I suoi libri portano l'impronta di una straziata e tenera sicilianità: il suo linguaggio ricco, fastoso, tende ad un lirismo barocco tutto sensualità e dolore.
Goliarda Sapienza certamente assomigliava al suo nome che sposa una ardita temerarietà con una dolce saggezza. Così era Goliarda: guerresca e pacifica, aggressiva e mite. Sapeva battersi generosamente per una idea, ma sapeva anche sorridere di sé e degli altri con distaccata ironia. Sapeva difendere con le unghie e coi denti una idea persa o una persona perseguitata ingiustamente ma sapeva anche ritirarsi dietro una finestra per osservare con attenzione silenziosa le persone che passavano per la strada, rimanendo al di là di uno spesso vetro. Quando l'ho conosciuta, forse più di trent'anni fa, era una ragazza snella, con i capelli lunghi sulle spalle, gli occhi grandi, la bocca pronta al sorriso. Aveva conservato, nonostante abitasse a Roma da molti anni, un leggero accento siciliano. Sempre senza soldi, aveva un rapporto col mondo da zingara girovaga e festosa. Continuava a dividersi fra la disperazione e l'entusiasmo. I suoi libri portano l'impronta di una straziata e tenera sicilianità: il suo linguaggio ricco, fastoso, tende ad un lirismo barocco tutto sensualità e dolore. Dacia Maraini
1 Gennaio 1997
La memoria n. 402
172 pagine
EAN 9788838913785
Non disponibile
Goliarda Sapienza (1924-1996) nasce a Catania da famiglia socialista anarchica: il padre Giuseppe, avvocato, fu tra gli animatori del socialismo siciliano fino all’avvento del fascismo; la madre Maria Giudice, figura storica della sinistra italiana - la prima donna, tra l’altro, a dirigere la Camera del Lavoro di Torino - fu in carcere insieme a Terracini nel 1917. A sedici anni, grazie a una borsa di studio per allievi attori, Goliarda approda all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, città nella quale si stabilirà definitivamente. Per alcuni anni è attrice applauditissima in vari ruoli pirandelliani; insieme al suo primo compagno, Francesco Maselli, impara dalla macchina da presa a vedere e scrivere. Ha pubblicato quattro romanzi che fanno parte di un ciclo autobiografico: Lettera aperta (1967), Il filo di mezzogiorno (1969), L’Università di Rebibbia (1983) e Le certezze del dubbio (1987).
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