Lettere dal carcere. 1926-1937

Lettere dal carcere. 1926-1937

A cura di Antonio A. Santucci

Nella raccolta completa delle Lettere dal carcere si delinea la vicenda tragica di un protagonista della storia politica e intellettuale del Novecento. Nell'epistola «Gramsci non cerca solamente un mezzo di comunicazione pratica e di conforto materiale e morale. Intravede un'ancora per non naufragare nell'apatia e nell'aridità intellettuale» (Antonio A. Santucci).

In cella Gramsci leggeva e rileggeva le lettere ricevute. La prima volta «disinteressatamente», cioè col solo sentimento della tenerezza verso le persone care. Ci tornava poi su «criticamente», per cercare di indovinare quante più cose della loro vita e dei loro pensieri. Si sentiva in ciò un po' pedante, di una pedanteria che però difendeva «aspramente contro certa faciloneria superficiale e bohème che ha procurato tanti guai e ancora ne procura e ne procurerà».
Anche le sue Lettere dal carcere si prestano anzitutto alla scoperta spontanea di una umanità profonda, o all'emozione di un rinnovato incontro con la vicenda tragica di un protagonista della storia politica e intellettuale del Novecento. Ma questa nuova edizione, arricchita di testi mai editi in Italia e annotata col supporto delle lettere dei corrispondenti (in particolare quelle indirette ma fondamentali di Piero Sraffa), rappresenta inoltre un importante avanzamento nello studio critico del lascito gramsciano. Malgrado quei caratteri di opera compiuta, stilisticamente limpida e unitaria, che hanno fatto di un epistolario reale un classico della letteratura contemporanea, le Lettere dal carcere sono state al centro di accese controversie politiche e storiografiche. Raccolte ora integralmente e rivedute con scrupolo filologico, consentono di riaprire il dialogo con Gramsci senza travisamenti né riserbi.

Autore

Antonio Gramsci (1891-1937), giornalista e militante politico, fu segretario generale del partito comunista e deputato al Parlamento. Nato in Sardegna, visse a Torino, Mosca, Vienna e Roma. Arrestato nel 1926 e condannato da Tribunale speciale fascista, scontò la pena a Turi di Bari, dove scrisse le Lettere e i Quaderni del carcere.

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