Una delle prime riflessioni sulla sconfitta nella seconda guerra mondiale come smarrimento dell’identità nazionale: scrivendo ai familiari nel 1944-1945 il grande storico vuol testimoniare della rotta della patria.
«Potremo mai aver più vita nazionale, fatta di problemi interni e problemi internazionali, di indipendenza e di aspirazioni coloniali, insomma di organico sviluppo? […] Per un pezzo e forse per sempre saremo ridotti uno statarello, una specie di pianeta spento come la luna, un grosso Portogallo o una grossa Grecia. Avevamo appena cominciato il nostro sviluppo di nazione e si è interrotto. Ultimi venuti in Europa, siamo arrivati troppo tardi, quando l'epoca dei mezzani stati volgeva al tramonto, schiacciati dai colossi, dai paesi ricchi di masse umane, di carbone, di ferro, di petrolio, di uranio». Nelle lettere che Gioacchino Volpe, uno dei massimi storici italiani del Novecento, scrisse tra il 1944 e il 1945 alla moglie e al figlio maggiore ritorna di continuo la percezione di una finis Italiae come conseguenza della sconfitta nella seconda guerra mondiale, e con essa la sensazione di un disorientamento personale fortissimo, come di chi non riesca più a riconoscersi nel proprio Paese. Per vent'anni Volpe non aveva fatto mancare il suo consenso al regime fascista, del quale era stato anzi uno degli intellettuali di maggior spicco. Ma dopo l'8 sttembre 1943 non aderì alla Repubblica sociale e neppure riuscì a identificarsi, benché avesse sentimenti monarchici, con il Regno del Sud. Incapace di riconsiderare criticamente il fascismo e le responsabilità di Mussolini nella sconfitta, Volpe era come sopraffatto dall'idea che l'Italia fosse diventata nuovamente, com'era stato secoli addietro, il terreno di una battaglia tra le grandi potenze. Impegnato, a Santarcangelo di Romagna e poi a Roma, nel completamento di una delle sue opere maggiori, Italia moderna, confidava alla moglie e al figlio la difficoltà di scrivere di storia mentre gli sembrava che l'oggetto stesso del suo lavoro, l'Italia appunto, si stesse disgregando. Nelle sue lettere, il resoconto delle attività legate alla sopravvivenza quotidiana si intreccia a meditazioni sconsolate sul destino di un Paese sconfitto, ma anche al tentativo di tracciare un bilancio della sua lunga attività storiografica, che aveva lasciato un'impronta profonda nella cultura italiana.
1 Gennaio 2006
La nuova diagonale n. 62
116 pagine
EAN 9788838921193
Gioacchino Volpe (1876-1971), autori di studi importanti sul medioevo, dopo la prima guerra mondiale spostò i suoi interessi verso la storia contemporanea. Aderì al fascismo e negli anni del regime ebbe un ruolo rilevante nel campo degli studi storici, anche per l'influenza esercitata su molti giovani studiosi: da Federico Chabod a Nello Rosselli, da Delio Cantimori a Rosario Romeo. Tra le sue opere: Studi sulle istituzioni comunali a Pisa (1902), Movimenti religiosi e sette ereticali (1922), Il Medio Evo (1926), L'Italia in cammino (1927), L'Italia moderna (1943-52).
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