Scrittore e intellettuale polacco in queste conversazioni con Miłosz, Aleksander Wat attraversa tutto il Novecento, nelle pagine scorre quel che è accaduto nel secolo breve in Polonia, Germania, Russia, Europa, America. «Documento di testimonianza storica Il mio secolo è anche un capolavoro di autobiografia. La voce di Wat è irresistibile e lui racconta la sua storia con tale rigore e intelligenza, con un calore umano talmente travolgente, che uno è perennemente alterato dalle sue parole… uno dei libri più toccanti e potenti che abbia mai letto» (Paul Auster).
«Ci sono persone che sono immediatamente amate e hanno grande autorità nella cella. Sono passato per tante di quelle prigioni ed è difficile dire da cosa dipenda, forse c’è effettivamente una sorta di magnetismo personale. Un ruolo molto importante lo gioca d’altronde l’espressione del viso. Ci son alcuni che sono semplicemente benvoluti, altri che in più hanno una vera e propria autorità, sono ascoltati; e c’è poi una terza categoria, più o meno corrispondente a ciò che per noi era stato Hempel nel Carcere Centrale di Varsavia: la figura paterna, impersonata da uomini buoni e anziani. Capita spesso in prigione di trovare qualcuno che impersona il ruolo di padre. Lo conquista non tanto per la sua saggezza – il colonnello S∂onecki non si distingueva per una particolare intelligenza – ma per la bontà». Aleksander Wat (1900-1967) fu poeta, ebreo e polacco. Queste tre qualificazioni delineano subito nella mente il perimetro delle sue memorie del secolo scorso: l’élite intellettuale dell’Europa centrale affascinata dagli esperimenti artistici esistenziali e politici tra le due guerre mondiali; la tragedia nello sradicamento e della deportazione; il terrore nei diabolici laboratori del totalitarismo novecentesco. Lo scrittore Paul Auster le ha definite senza mezzi termini: «un capolavoro di autobiografia… Uno dei più commoventi e potenti libri che abbia mai letto» e non deve essere estraneo a questo giudizio il fatto che è come se questa autobiografia mostrasse quante vite potessero coesistere in una nel secolo di Wat, quante esistenze diverse potessero trascorrere in una sola quando «mio secolo» significava passare dall’avanguardia dadaista al comunismo alla conversione religiosa, dall’occupazione nazista alle prigioni staliniane ai boulevard di Parigi, tra Varsavia e Leopoli, l’URSS e l’Europa occidentale. Wat, però, è in ogni vicenda un poeta. Il suo lungo resoconto orale, depositato nella conversazione con l’amico premio Nobel Czesław Miłosz e poi trascritto dopo il suicidio del protagonista, è filtrato da una speciale spiritualità e il suo orizzonte è il sublime. Un modo di vedere la storia come storia di un’anima: caduta, espiazione, catarsi. Un modo di guardare al secolo come visione del «diavolo nella storia». Un modo di ricondurre le vicende personali a specchio della condizione umana. C’è molto, ne Il mio secolo, che ha la forza di Dostoevskij.
23 Maggio 2013
La nuova diagonale n. 99
728 pagine
EAN 9788838930621
Formato e-book: epub
Protezione e-book: acs4
Aleksander Wat è considerato uno dei maggiori scrittori polacchi del Novecento. Fra le sue opere principali la prosa poetica futur-dadaista; i racconti grotteschi di Lucifero disoccupato; la poesia pensosa e sublime, ironica e onirica del dopoguerra (Poesie, Poesie mediterranee, Lume oscuro); i saggi su comunismo e stalinismo; il capolavoro «parlato», Il mio secolo.
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