Un ragazzino racconta dello strano luogo in cui vive e dei suoi inquietanti abitanti. Ambientato in un paese senza nome il «miglior libro» della più nota scrittrice catalana.
«La mia vita posso iniziare a raccontarla da dove voglio, la posso raccontare in un altro modo, posso iniziare con la morte della mia bambina o la posso iniziare da quel mattino che il figlio del fabbro mi si piantò davanti nel bosco dei morti o con una mia visita al signore, ma qualsiasi cosa faccia la mia vita è chiusa. Come una bolla di sapone diventata di vetro». La morte e la primavera è una fiaba crudele e visionaria su due amori in un paese fantastico e agreste, che ricorda vagamente un'ambientazione da saga medievale. Con due protagonisti. Un giovane il cui padre si è ucciso e che ama la matrigna da cui ha avuto una figlia, ragazza odiata nel paese perché frutto di un legame irregolare. E il figlio del fabbro del villaggio, vissuto nel torpore di una protezione familiare ossessiva e ansiosa, che un giorno si sveglia anche lui alla «primavera», cioè all'amore. Raccontano le loro giornate schive e fuggitive, le loro esistenze a margine di una cumunità compatta che non li accetta nelle sue strane usanze violente: il signore, i riti funerari e stagionali, le iniziazioni alla virilità, l'uomo cavallo, le persecuzioni incoscienti. Fino al desolato finale. Mercè Rodoreda è stata la più grande scrittrice catalana, e La morte e la primavera è stata l'opera di una vita, certamente quella che lei reputava la migliore: scritta, rivista e perfezionata a più riprese per vent'anni, mentre uscivano racconti, romanzi e drammi teatrali, e da lei considerata conclusa nel 1961, è stata pubblicata solo dopo la morte. Ne diceva: «Sarà un romanzo d'amore e di solitudine infinita». Formatasi nel pieno della stagione repubblicana e della guerra civile spagnola, costretta dal franchismo a un atipico esilio, Mercè Rodoreda intendeva verosimilmente, con questa narrazione in prima persona, cadenzata e personale come una minuscola epopea senza eroi, fare il racconto simbolico della ripulsa dell'oppressione, nei modi in cui possono provarla personaggi deboli e isolati. E la espresse in una lingua che fa dire a un critico: «scriveva come se cantasse una canzone».
2004
Il contesto n. 7
260 pagine
EAN 9788838920059
Fuori catalogo
Mercè Rodoreda (Barcellona, 1909-Romanyà de la Selva, Gerona, 1983) è considerata la maggiore scrittrice in lingua catalana del Novecento. Tra le sue opere ricordiamo: Vint-i-dos contes (1957, Premio Victor Català), La plaça del Diamant (1962), El carrer de les camelies (1966), Mirall trencat (1974), Cuanta cuanta guerra (1980) e La signora Florentina e il suo amore Homer, pubblicato da questa casa editrice nel 2001.
Chi ha consultato la pagina di questo libro ha guardato anche: