«Sergej Dovlatov è una cura dello spirito, una giostra di buonumore, un dono di saggezza senza saccenza. Leggete uno qualsiasi dei suoi libri, non sbaglierete in nessun caso. Nel Parco di Puškin farete un sacco di incontri indimenticabili» (Tiziano Scarpa).
Anarchico, vagabondo, individualista, solidale con ogni eversione solitaria: le narrazioni di Dovlatov posseggono un'incantevole forza di immedesimazione per il lettore. Voce narrante e protagonista insieme di storie che hanno l'inconfondibile marchio del vissuto, la prosa rapida e classica di Dovlatov dà un «ordine lirico» - è stato detto - a un caos naturale. E trascina in viaggi, lungo il percorso di una trama, in un mondo popolato di umoristi naturali, che esprimono la totale insensatezza esistenziale, la definitiva casualità che stringe nel paradosso ogni genere di personalità: siano essi i confusi emigrati ex dissidenti (come nei romanzi ambientati nell'America dell'esilio) siano gli stralunati ubriaconi, mezzi intellettuali mezzi barboni, suoi amici nell'URSS anni Settanta, come in questo romanzo. Nel parco letterario Puškin, per sbarcare il lunario, è finito a fare da guida uno scrittore dissidente e fallito: dissidente dal mondo e fallito a ogni possibile impresa, il negativo esatto di quello che Puškin rappresenta per la mitologia dominante. Nei suoi giorni ciondolanti incontra persone di ogni tipo, ma ciascuna di incerta identità, arcipelago di io separati contraddittori e fragili: l'alcolista razzista, mite e generoso; il dotto che ha letto tutti i libri ma è paralizzato dall'abulia; il funzionario del KGB che si scopre saggio paternalista e dissidente; il capellone perturbatore dell'ordine che nella sbronza si rivela un erudito. Due sole convinzioni illuminano il protagonista-narratore: l'ostilità verso la santità, cioè l'idea che il bene sia facile, naturale e riconoscibile; l'avversione contro ogni attivismo. Finché a sconvolgere quella folle armonia, alcolica e dissipata, piomba la moglie che sta per lasciare l'URSS alla volta di Chicago, approfittando di uno spazio apertosi per l'emigrazione. E le peripezie di Parco di Puškin mostrano il loro senso vero: la riflessione drammatica, di un grande scrittore, sul rapporto con la propria patria, con la propria lingua, col potere.
1 Gennaio 2004
La memoria n. 622
216 pagine
EAN 9788838919947
Sergej Dovlatov (1941-1990), nato da una famiglia di gente di spettacolo, dopo una giovinezza sregolata si dedicò al giornalismo, lavorando per giornali di provincia, dai quali veniva regolarmente licenziato per indisciplina. Nel 1978 emigrò negli Stati Uniti, dove furono pubblicati i suoi racconti e romanzi, «commedie autobiografiche» pervase di umorismo instancabile e classicamente russo. Di Dovlatov, questa casa editrice ha pubblicato Straniera (1991, 1999), La valigia (1999), Compromesso (1996, 2000), Noialtri (2000), Regime speciale (2002), Il Parco di Puškin (2004), La marcia dei solitari (2006), Il libro invisibile (2007), Il giornale invisibile (2009), La filiale (2010) e Taccuini (2016).
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