Un giovanissimo scrittore di un'epica del quotidiano, dell'eterno bisogno di provare a se stessi che si è veri, in tre racconti dell'inappagata ricerca di un'unità dell'esperienza dentro un mondo frantumato e narcisista.
«A me la faccenda della boxe piaceva parecchio. Non so cos’era. Forse anche la formidabile sensazione che c’era un luogo dove avevo qualche numero, o dove comunque potevo battermi ad armi pari». Il Ballerino e la Capra: è come se tutta la loro vita, quella breve trascorsa ma anche la futura, fosse stata disegnata per il loro incontro. Il Ballerino è per bene, prende bei voti, non ha mai una ragazza, goffo («sfigato», secondo l’autodefinizione) e «dice sempre la cosa sbagliata»: fa pugilato per riappropriarsi dell’esistenza; con la sua leggerezza da libellula sul quadrato è diventato una leggenda, ma la madre gli vieta di salire sul ring seppure per un solo incontro e lui non si è mai misurato. La Capra, è povero, è sordo e non riuscire a sentire le voci lo ha escluso dal mondo, combatte con una testarda determinazione ed è un campione che scala la vittoria come le capre i burroni, ma vuole sapere se veramente è lui il più forte. Boxe, il primo di questi tre ritratti di giovani alle prese con l’iniziazione alla vita, parla di palestre e odori di corpi, di sacrifici e rese smargiasse, della prova e della sfida, della rivelazione folgorante del senso segreto della vita, dando la sensazione di un arco che si tende al limite della rottura. Cavalli, il secondo, ha come un andamento di ballata e fa sentire spazi aperti: due fratelli, ricevono dal padre due cavalli e il via al loro destino. «Fu subito chiaro a tutti che i cavalli avrebbero portato i due fratelli in luoghi diversi» e il primo usa il suo per andare e venire dalla città in esperienze e avventure; l’altro resta, col laborioso intento di metter su un allevamento. Una ferita aperta da lavare li ritrova fianco a fianco e svela chi è già uomo e chi deve ancora diventarlo. Se i primi due hanno a che fare con l’impresa di giovani uomini di diventare ciò che sono, il terzo racconto, La scimmia, narra la voglia di sparire come strada possibile in agguato, e rappresenta la fragilità invincibile degli esseri: l’amico conosciuto come più ricco, più fortunato, improvvisamente decide di essere una scimmia, e il velo impenetrabile del delirio mostra un certo senso della vita che da quel momento si attacca all’amico sano come il doppio che sta sempre accanto. Pietro Grossi, giovanissimo scrittore, esprime un’epica del quotidiano; i suoi personaggi, uniti in coppia da doppi legami destinati a salvarsi assieme o cedere entrambi (l’avversario-amico per sempre, l’antagonista-fratello, l’alter ego sconfitto) lottano per una specie di unità dell’esperienza.
1 Gennaio 2006
Il contesto n. 10
192 pagine
EAN 9788838920929
Non disponibile
Pietro Grossi è nato a Firenze nel 1978. Ha pubblicato con Sellerio Pugni (2006, Premio Cocito Montà d’Alba, Premio Chiara, Premio Fiesole, finalista Premio Strega, Premio Campiello Europa 2010) e L’acchito (2007).
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