In un'opera tra favola e storia Cicerone approfondisce la tematica politica, tracciando lo sviluppo della costituzione romana fino alle dodici tavole.
Che la storia della repubblica romana si presti, più di altre, a quel genere di riflessioni che Sainte-Beuve definiva «histoire philosophique» e Saint-Évremond «critique du sens», è provato dalla costanza con cui i moderni filosofi della politica, da Machiavelli a Montesquieu, ne hanno tratto alimento. È quasi un paradosso però, che tale moderna riflessione sia sorta indipendentemente dal testo, rimasto per secoli ignoto, che, pure, potrebb'esserne definito l'archetipo: il trattato di Cicerone, De republica, scritto ormai quando la città-Stato si disfaceva sotto la mole del suo proprio impero, e restituito ai moderni dal cardinale Mai soltanto nel 1819. Il secondo libro di quel trattato, che spiega lo sviluppo della costituzione romana fino alle dodici tavole, è tutto rivolto a mostrare come la «feccia di Romolo» - secondo la colorita espressione vichiana - fosse assurta, nel momento suo più felice alle altezze della «repubblica di Platone». Ma è anche percorso dalla consapevolezza che non vi è destrezza di ordinatore che renda durevole qualsivoglia costituzione: «perché - come sapeva il Machiavelli - nessun rimedio può farvi a fare che non sdruccioli nel suo contrario».
1 Gennaio 1986
La memoria n. 139
100 pagine
EAN 9788838903731
Non disponibile
Di Cicerone questa casa editrice ha pubblicato Lo stato. Libro secondo (1992) e Il Sogno di Scipione (2008).
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