L'entusiasmo per il Nuovo Mondo si misura con il rimpianto per l'antichità romana.
Il 3 novembre del 1735, da Cirey sur la Blaise, Voltaire scrive a un amico: «È qui con noi il marchese Algarotti, giovine che conosce le lingue e i costumi di ogni paese, che compone versi al pari dell'Ariosto e che ne sa di Locke e Newton; ci legge i dialoghi che ha scritto su certe parti interessanti della filosofia; anch'io ho fatto il mio piccolo corso di metafisica; perché bisogna pur tenersi al corrente delle cose di questo mondo. Leggiamo un canto di Jeanne la Pucelle, o qualche mia tragedia, o capitolo del Siècle de Louis XIV. Ritorniamo poi a Newton e Locke, senza comunque privarci di champagne e di ottimi cibi, perché siamo filosofi voluttuosissimi». E tra le voluttà, per Algarotti, predominanti erano i viaggi e un'indomabile curiosità per il diverso: segni di un'ansia a superare i limiti, a espandersi. Nasce da questa il Saggio sopra l'Impero degl'Incas, vent'anni dopo la lettera di Voltaire, che anticipa future fantasie europee su un'America sconfinata, eden di libertà. Ma a scorrerne le pagine piene di confronti tra la grandezza del remoto Perù e quella di Roma, si indovina il senso dell'angustia da cui fuggiva Algarotti, e s'avverte la passione della sua lotta solitaria per il libero pensiero in Italia.
1 Gennaio 1987
La memoria n. 153
76 pagine
EAN 9788838904110
Francesco Algarotti (Venezia, 1712 - Pisa, 1764) trascorse buona parte della vita in viaggi che lo portarono a frequentare i salotti e le corti illuministiche di tutt'Europa. Tornato in patria s'impegnò nella diffusione del moderno pensiero in Italia. Fu intimo amico di Voltaire e Maupertuis, e fu consigliere di Federico II di Prussia da cui ebbe incarichi politici. Compose Rime (1733), scrisse Il neutonianesimo per le dame (1737), Lettere sulla Russia (1751), il romanzo Il congresso di Citera (1735), e numerosissimi saggi nei Discorsi (1755).
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