«Un vegliardo atticciato, ringiovanito da una calvizie totale, sulla quale tuttavia invitava il barbiere, dopo l'impeccabile rasatura, a regolare gl'infimi peluzzi superstiti, esalante una rara cura della persona (si legga la scolpita pagina sulla pedicure) e dell'abbigliamento» (Gianfranco Contino). A quarant'anni di distanza, uno dei migliori romanzi di Pizzuto, scrittore tra i più singolari e significativi.
Scriveva Gianfranco Contini, commemorando lo scrittore che aveva annoverato tra gli artefici dell'italiano letterario della seconda metà del Novecento, e l'amico con cui aveva intrattenuto un intenso carteggio intellettuale: «Conobbi Pizzuto con un ritardo di cui mi dolgo. Fu Cesare Brandi a spronarmi a leggere un autore che, diceva, sembrava fatto apposta per piacermi. Io cominciai con Ravenna (1962), e confermai il mio entusiasmo risalendo il corso di Signorina Rosina e Si riparano bambole (dall'autore contratto in Siribambole); ed eccomi dinanzi al loro fisico produttore. Un vegliardo atticciato, ringiovanito da una calvizie totale, sulla quale tuttavia invitava il barbiere, dopo l'impeccabile rasatura, a regolare gl'infimi peluzzi superstiti, esalante una rara cura della persona (si legga la scolpita pagina sulla pedicure) e dell'abbigliamento. L'apparizione era dominata dalla vivacità degli occhi, non turbativa perché solcati da ondate di benevolenza. La mazza con cui giostrava dava un tenue sussidio a una locomozione devastata da una catastrofe di macchina, aumentata da difficoltà agorafobiche. La casa, di quelle a riscatto per gli impiegati dello Stato, era molto modesta, e il locale che gli serviva da pensatoio singolarmente sprovvisto di libri per uno munito di una cultura classica e filosofica in più lingue d'inaudita vastità, che evidentemente gli aveva riempita la memoria... Non si smetterebbe più di parlare di Pizzuto, come Goethe diceva di Shakespeare. Ma noi che lo conoscemmo possiamo eccitarne la memoria, e rinfrescarla tuffandola nel mare delle sue carte. Anormale è che uno scrittore della sua portata sia male accessibile in comune commercio. Con Antonio Pizzuto è scomparso il primo dei nostri grandi "giovani scrittori". Questo coetaneo esatto di Carlo Emilio Gadda finito a Roma da Palermo come lui da Milano, uscito in pubblico nel 1956 e autore di libri sempre più arrampicati nell'arduo, sembrò essere il fratello maggiore della "nuova avanguardia". Però Pizzuto ha tutto il futuro innanzi a sé: lui era incalzato dalla necessità di scrivere con estenuante lentezza; la sua fama - o la sua gloria - lo aspetta sicura». E questa riedizione del suo romanzo forse più bello aspira a toglierlo da una delle intermittenze dell'oblio in cui il grande prosatore palermitano sembra destinato periodicamente a incappare.
1 Gennaio 2001
La memoria n. 495
328 pagine
EAN 9788838916533
Non disponibile
Antonio Pizzuto (Palermo, 1893-Roma, 1976), dopo una carriera in pubblica amministrazione conclusasi col grado di Questore, poté dedicarsi interamente alla scrittura da pensionato.
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