Un saggio dedicato all'arte del traduttore e del tradurre.
Pubblicato nel 1946 - ma il progetto occupava la mente dell'autore da vent'anni almeno - questo scritto è l'ouverture di una composizione (saggio, divagazione, forse manuale) dedicata all'arte del tradurre e al traduttore. Ed è di difficile classificazione anch'esso: apologia, studio erudito, ricognizione di luoghi e pitture, storia intellettuale dell'autore della Vulgata: di San Girolamo, l'inventore, secondo Larbaud, della traduzione intesa come viaggio tra culture e non, semplicemente, come passaggio tra vocabolari. Cede dunque Larbaud - e narrativamente realizza - a quella seduzione del personaggio Girolamo che Niccolò Tommaseo riassunse in un giudizio: «Da quattordici secoli nel deserto e nella reggia, nel chiostro e nel campo di battaglia, con le parole di un povero dalmata si loda Iddio»: l'uomo del deserto che, traducendo, crea un'opera nuova, ma una nuova lingua, una nuova cultura, nuove azioni e trame della storia insieme.
1 Gennaio 1989
La memoria n. 203
96 pagine
EAN 9788838905759
Non disponibile
Valery Larbaud (Vichy, 1881-1957) fu viaggiatore e traduttore (di Whitman, Chesterton, Joyce, Samuel Butler, Hawthorne, Cecchi, Bacchelli, Svevo, Gomez de la Serna), oltre che scrittore. Tra le sue opere: i romanzi A. O. Barnabooth (1913) e Fermina Marquez (1911); i racconti di Infantili (1918) e Amanti, felici amanti (1923); saggi critici e letteratura di viaggio.
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