La proporzione di gente in prigione non è un indice della criminalità e dell'insicurezza di un paese: è solo un indice della politica penale di quel paese» (Adriano Sofri). Un'analisi sul sistema carcerario statunitense, oggi modello di riferimento per gran parte del mondo.
«Elisabetta Grande mostra come l’America abbia progressivamente abbandonato il principio della proporzionalità della pena al reato, della risocializzazione del condannato, e della flessibilità della pena, in nome di una sua “certezza” sempre più vicina alla tentazione di estromettere definitivamente il detenuto dalla vita sociale, quando non a farne lo strumento di una speculazione d’affari. In Italia ci fu, ormai molti anni fa, una appassionata e non meschina discussione fra giuristi, gli uni persuasi che la pena dovesse essere resa duttile in corso d’esecuzione, e costantemente rivalutata rispetto all’evoluzione personale del condannato, gli altri spaventati dall’arbitrio potenziale di quella flessibilità, e inclini piuttosto a una riforma del codice penale che correggesse la misura eccessiva delle pene previste, incomparabile con quella della maggior parte dei paesi europei. Prevalse in teoria la prima, con la riforma del 1975 e le successive misure, di cui il nome di Mario Gozzini diventò il simbolo, ma progressivamente svuotate da provvedimenti ispirati alla galera come toccasana e regalo circense alla pubblica opinione. Siamo oggi a una svolta delicatissima. L’indulto – una scelta retrospettivamente preterintenzionale, così da spaventare i suoi stessi autori – ha riportato un sollievo umano e un po’ di legalità nella condizione delle carceri. Questa condizione favorevole non potrà durare a lungo, se non interverranno le misure di riforma che tutte le intelligenze umane riconoscono necessarie. La cancellazione o la correzione sostanziale di leggi punitive e contrarie alla vera sicurezza (sulla droga, sull’immigrazione, sulla cosiddetta recidiva), la riforma del codice penale che depenalizzi gli attuali reati di scarsa o nulla pericolosità sociale e moltiplichi il ricorso a sanzioni penali altre dalla reclusione dei corpi dentro una cella. La proporzione di gente in prigione non è un indice della criminalità e dell’insicurezza di un paese: è solo un indice della politica penale di quel paese. Il modello americano, per entusiasmo o per inerzia, incombe. Alla terza che mi fai...».
(Dalla Nota di Adriano Sofri)
1 Gennaio 2007
La nuova diagonale n. 67
172 pagine
EAN 9788838921940
Non disponibile
Elisabetta Grande insegna Sistemi giuridici comparati nell’Università del Piemonte Orientale. Si occupa di diritto e procedura penali comparati, con particolare riguardo al mondo giuridico statunitense. Ha pubblicato: Accordo Criminoso e Conspiracy (1993) e Imitazione e diritto: ipotesi sulla circolazione dei modelli (2000). Ha pubblicato inoltre diversi saggi, uno dei quali – critico della recezione italiana del modello processuale penale statunitense ed apparso sull’«American Journal of Comparative Law» del 2000 – le ha permesso di vincere il premio «Yntema», conferitole dall’Associazione americana di diritto comparato.
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