L’ultimo veliero

L’ultimo veliero

Nota di Andrea Camilleri
Postfazione di Giovanni Capecchi

«Uno dei migliori romanzi italiani pubblicati nel secondo 900 »(Andrea Camilleri)

In un ospizio che accoglie vecchi marinai, il Capitano Maestrelli trascorre le sue giornate, sempre uguali, guardando il mare con invicibile nostalgia. Ma un giorno un vecchio veliero sulla linea dell’orizzonte riaccende i suoi sogni e le sue speranze: riprendere il mare, andandosene senza meta.

In questi anni sembra che la narrativa si sia volentieri sottomessa all’intreccio, a seguire il meccanismo di complicate peripezie che si distanziano dall’artigianato della minuta scultura di personaggi e dal tessere e ritessere intorno a una situazione psicologica capace di scatenare il romanzesco. Un realismo avventuroso, di questi tempi, che ama l’estensione e mostra ripugnanza per l’idea come nucleo forte dello sviluppo narrativo. Invece, questo romanzo che ci arriva dagli anni Sessanta, rimasto scolpito nella memoria di Andrea Camilleri che oggi lo ripresenta, trova il suo centro energetico in un’idea suggestiva, un’idea legata al mare, all’orizzonte, e a quel che suggeriscono quali simboli di una vita diversa. Il richiamo immediato è quindi a Conrad, Melville, Hemingway. Maestrelli Bernardo, detto il Capitano, che ha dominato gli oceani quand’erano ancora solcati dai velieri e ancora conserva l’andatura impressa dal ponte di legno, vive oramai in un ospizio, insieme a un gruppo di vecchi marinai, vessati dalle suore e per di più costretti alla questua con i turisti per contribuire al proprio mantenimento. Impacciato e arenato in terraferma, con invincibile nostalgia, guarda sempre il mare, finché un giorno gli si presenta l’incredibile visione. Un vecchio veliero, di quelli rimpiazzati dalle moderne macchine a motore, viene verso il porto per essere disfatto. E il Capitano elabora il suo sogno: recuperare quella carcassa, rimetterla in sesto e riprendere il mare, andandosene senza meta. Per sempre. «Se quel veliero fosse nostro, che importanza avrebbe il posto dove andare?». Una fiaba senza tempo, lo definisce Camilleri: «Venturi opera il prodigio di raccontarci una fiaba per ottantenni e per quindicenni, tant'è vero che mi è successo di rileggerla dopo quarantacinque anni con la stessa emozione della prima lettura. È come se quello stesso vento di tramontana che gonfia le vele del vecchio veliero scorresse di continuo da una pagina all'altra del romanzo, facendolo navigare con sicurezza, leggerezza, eleganza, allegrezza».

Autore

Marcello Venturi (nato a Seravezza in provincia di Lucca, nel 1925-Molare, 2008) ha esordito nel 1946 sul «Politecnico» di Elio Vittorini e ha dedicato la prima fase della sua opera (raccolta in Gli anni e gli inganni del 1965 e, più recentemente, in Cinque minuti di tempo del 1995) alla stesura di racconti partigiani, capaci di rievocare l'esperienza della resistenza. Nel 1963 ha pubblicato il suo romanzo più noto, Bandiera bianca a Cefalonia, dedicato all'eroico sacrificio dei soldati italiani dopo l'8 settembre 1943. Al tramonto della civiltà contadina del Monferrato (dove attualmente vive) ha dedicato Il padrone dell'agricola (1979) e Sconfitti sul campo (1981) ora raccolti in un unico volume (L'agricola, 2005). L'ultimo veliero, che piacque molto a Italo Calvino, è apparso per la prima volta nel 1962.

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