Un anno nella vita

Un anno nella vita

Riflessioni, racconti grotteschi, memorie lontane: bilancio di una vita da grande manager che diventa una discesa una «discesa agli inferi dell’impresa», dove «inferi» sta per girone dei dannati, ma anche per radici profonde.

Un manager, in una pausa dell’esistenza, riflette sulla lunga esperienza che lo ha portato, nonostante le eresie e le scomodità del personaggio, a capo di importanti imprese. Ed è una riflessione che si disloca in tre livelli, quasi in un lavoro successivo di scavo o come volute che si stringono alla ricerca di una sostanza più vitale dell’azienda economica e della sua organizzazione. Lo scavo inizia con la raffigurazione letteraria della vita ordinaria: ministorie di quando l’equilibrio, che è forse la dote primaria del manager, esplode, di quando salta il controllo. «Discesa agli inferi dell’impresa» li definisce l’autore: l’agitarsi, a volte grottesco, a volte pietoso, degli sconfitti, il rumore stridulo e beffardo della carriera che si spezza per l’intervento dell’imponderabile umano. E poiché caos esistenziale e angoscia nell’impresa sono elementi incompatibili e perturbanti per definizione, il loro paradossale irrompere rende la scena inevitabilmente comica: un umorismo della crudeltà.  Segue, come un intermezzo, probabilmente, per l’autore più palpitante e quindi più tenero per il lettore: sono i ritratti e i bozzetti che il ricordo ha lasciato dall’infanzia in un paesino dell’entroterra di Rimini, un’aura esplicitamente e nostalgicamente felliniana. Vi aleggia la domanda più importante, di come il tempo poté voltare quel mondo e quel bambino nel contrario: dalle Rosine di Verucchio, e dai personaggi così autentici e ammaliati dalla luna, dal bambino del «vecchio borgo arrampicato sui sassi», al luccicare ferrigno del mondo dell’impresa e una vita da manager. Il viaggio nell’esperienza si chiude sul piano proprio di ciò che potrebbe definirsi spunti per una teoria critica dell’impresa. Interventi e proposte centrati su quelle situazioni topiche e ricorrenti in cui risaltano i paradossi di una logica dell’organizzazione dimentica di aver comunque a che fare sempre con esseri umani, con i loro desideri, i loro egoismi, i loro interessi e che dunque anche il potere organizzativo è un potere che attrae e, contraddittoriamente, ripugna.

Autore

Pierluigi Celli, dirigente d’azienda, esperto di organizzazione e direzione del personale. Ha scritto di letteratura e di lavoro, pubblicando tra l’altro: Lettere a una figlia in clausura (Marietti), Un gallo a Esculapio (Marietti), L’impresa (Sperling & Kupfer). Con questa casa editrice ha pubblicato Il manager avveduto (1994), Addio al padre (1998), Graffiti aziendali (1996) e Nascita e morte di un’impresa in 42 lettere (2003).

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