All?inizio del racconto una bambina impasta cibi trafugati, li sotterra e scopre allora i vermi come legge di natura. Poi conquista la meraviglia del fuoco che trasforma lo zucchero in ?una cattedrale di vetro bruno?, nella pineta estiva di Camaiore, ed è il croccante con pinoli confezionato sotto la guida materna. La madre e la figlia di allora si rispecchiano nella madre (l?autrice) e la figlia di oggi, che quando si sposa vuole avere le ricette di famiglia. Si genera così il cortocircuito esplosivo che conduce alla nascita di questo libro intenso e coinvolgente. Le parole che si dipanano sono rivolte a lei, per trasmettere ricette e storie, nel segno di un ruolo materno che i nostri tempi hanno sconvolto nei loro cardini. Raccontano queste pagine la fine di una convivenza uterina, nella memoria di gravidanze e nascite che si ripetono, nell?orbita della comune lingua materna dell?alimentazione: un liquido amniotico che nutre, lega e inevitabilmente si disperde. Il cerchio esclude i padri, i quali solo ai margini possono comparire, esclude anche le figure maschili di mariti e amanti, ma lascia indovinare una rete calda di amicizie conviviali. I capitoli si intestano a ricette: croccante e i pinoli, la torta di mele, pasta e broccoli, tokany, semolini, alici con indivia, soufflé di pompelmo. Altri piatti sono evocati: lo strudel con i semi di papavero, quelli più esotici di moda intorno al ?68, quelli esotici anch?essi di una nonna nata a Costantinopoli. Si ricompone così nel circuito gastronomico tutta una vita, fino alle le sue radici. Una geografia intera vi è condensata, dalle terre di origine sconosciute e rinnegate: Abruzzo e Ungheria (i salamini, ma anche pasta e broccoli, il Tokany), la città di approdo Roma (l?odiato pomodoro, l?amatriciana), il Trentino (torta di mele), i Balcani, la Grecia e la Turchia, il ghetto romano e di lì la tradizione ebraica, le alici con indivia, a conciliare passato segreto e presente. Emergono pratiche alchemiche di trasformazione, amalgami, contrasti di colori (verde/rosso, blu/argento), sapori e timbri (piccante/delicato, acido/dolce, solido/liquido, denso/morbido). I gesti vigili del cucinare, soffriggere, rosolare, aggiungere, infornare, ?visitare? durante la cottura, servire. Gesti precisi e delicati, anche rapidi e sicuri come le mosse di uno spadaccino. Il risultato a volte è spettacolare, il soufflé di pompelmo va messo in scena come un numero di varietà. Le ricette fermentano nella memoria, producono ricordi amari e dolci, aspri e zuccherini, asfissianti e profumati. Producono una lingua che si scioglie in briciole e schegge del passato: più che Proust evoca l?impetuoso e vivido flusso vocale con cui creature femminili abitano la scena beckettiana. Il risultato è una scrittura densa, magmatica e fulminante, quasi artefatta come la definisce lei stessa, rivolgendosi ancora una volta a sua figlia (p.123): ?Avrai capito che la cura barocca con cui ti ho esposto fatture laboriose serve piuttosto a dirottare il mio racconto sulle procedure che a favorirne l?ingresso nel buio della memoria: la descrizione artefatta mi trattiene sulla soglia di un congedo, e la scrittura cerca di dilazionare una separazione che incalza da tempo?.
L? impressione finale è che questo sia un libro magico, piccolo piccolo ed estensibile; lievita dentro come il soufflé di pompelmo;ma cosa che non fa nessun soufflé, questo continua a crescere anche dopo che si è tolto dal forno, che si è finito di leggere Forse perché, a leggerlo da vicino e davvero, ci si accorge che è tanti libri insieme. Prima di tutto, certo, è un libro di ricette, e di ricette appetitosissime (anche se paradossalmente si apre con una negazione , un rifiuto del cibo, e con la definizione della tavola come luogo di ingurgitamento). Ma fin dalle prime pagine, dalla rievocazione dei gusti e dei profumi dell?infanzia questo libro di ricette diventa anche un libro di memorie: procedendo per tasselli di puzzle, sobbalzi spaziali e scarti temporali, narra di una famiglia strana, composta da elementi disomogenei e che in fondo non hanno nemmeno tentato di amalgamarsi. E all?improvviso il libro di ricette e il libro di memorie personali diventano anche un libro di storia, una sorta di romanzo storico che attraverso la descrizione e la rievocazione di una ricetta magiara (Tokany) ricostruisce un pezzo della storia d?Europa, dai moti d?Ungheria del?56 al ?68, il , al delitto del Circeo, all?assassinio di Pasolini; e sullo sfondo il racconto per cenni brevi ed efficaci delle grandezze e della decadenza di una famiglia ungherese attraverso la voce della nonna paterna nata a Costantinopoli. Rispetto all?orizzonte annunciato nel titolo, il libro assorbe una vastità geografica e estensione temporale del tutto inattese. Ancora più inattesa l?altra estensione, verticale, nell?abisso inesorabile della malattia della madre. Ma verso la fine, mentre la pagina si spalanca a contenere i colori e il respiro del Mediterraneo (evocato anche all?inizio), affiora, come in una risalita dagli inferi, una toccante ispirazione lirica, immersa in emozioni trattenute ma anche finalmente liberate in un contesto di spazi azzurri, silenziosi e infiniti. Spazi di una conciliazione sempre inseguita e trovata alla fine nei fasti del soufflé finale
1 Gennaio 2009
Il divano n. 269
152 pagine
EAN 9788838924446
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