Maggio, primavera inoltrata in Italia, temperature poco (davvero poco!) sopra lo zero a Skógar. Siamo in Islanda, Islanda del sud per essere precisi, poco lontano dal ghiacciaio Eyjafjallajökull, per una vacanza tanto desiderata, programmata in modo da vedere più cose possibili. Questo piccolo villaggio è una delle mete previste, non solo per la vicinanza alla cascata di Skógafoss, ma per la visita al pittoresco museo. Un “museo diffuso” (prendo in prestito il termine oggi utilizzato per gli alberghi suddivisi in diverse costruzioni, tra loro vicine), che mi sento di definire così non soltanto perché le esposizioni sono ripartite in più spazi, bensì perché le piccole costruzioni SONO il museo. Splendide casette di torba col tetto ricoperto di erba, interamente arredate che – complete di mobili, tendaggi, coperte, oggettistica e suppellettili varie - ci hanno letteralmente catapultato nel passato. Un tuffo nella cultura e nella civiltà islandesi, che nessun libro né film può far percepire con altrettanta chiarezza. Queste suggestive casupole - costruite in modo da consentire la sopravvivenza delle popolazioni alle rigide temperature islandesi, nonostante i pochi mezzi a disposizione - ci hanno trasmesso tutto il peso e le difficoltà affrontate dalla popolazione locale in tempi decisamente più difficili di quelli attuali. Una visita toccante. Poco distante, nel museo “classico”, ci è stato possibile vedere molti altri spaccati dell’isola, dagli strumenti di lavoro ai vecchi libri, dai prodotti fatti a mano alle slitte, alle barche, alle armi e ancora le sezioni dedicate alla pesca e all’agricoltura, il tutto circondati dagli spazi ampi e selvaggi propri di questo Paese, che avrà sempre un angolo speciale nel mio cuore.