cuore di pietra
Curve e sassi.
Sassi e macchia mediterranea.
Inerpichiamoci in questo cuore selvatico di durezze e sorrisi parchi.
Tu segui sempre le mie richieste, figlio di questa terra aspra mi prendi per mano e mi porti dietro nomi, storie, eventi che ho studiato.
E proprio in questo paese, case e vigne che stringono i denti in una valle che si apre al maestrale, nacque tua madre.
Nemmeno sapevi che condividesse i natali con un uomo così geniale e invece, per caso, la ritrovammo bambina in una foto "con zio tittinu".
Lui, uomo forte di granito natio.
Lei, bambina in un costume liso, sorridente la pazzia di chi, adulto, racconta favole.
Arriviamo li, proprio dove la foto venne scattata, cento anni fa: in quel vecchio lavatoio, cuore di pietra di un paese di mille anime devote a sant'andria e impaurite da su bundu coi suoi baffi lunghi. Il lavatoio, terrazza su lentisco e vigne, bianco abbagliante in mezzo a tanta trascuratezza, ci accoglie in un abbraccio, piccolo, curato, suono d'acqua e profumo d'ulivo.
Improvvisamente il mio cuore sbatte come un uccello in gabbia, come volesse toccare lui stesso quella grande, immacolata madre in marmo bianco che aspetta i rari visitatori.
Quella madre appena abbozzata, maestosa ma semplice, dalla dolcezza infinita.
Ci muoviamo silenziosi, come a non voler spezzare un equilibrio di vetro, dal giardino alle scale che ci conducono agli esperimenti che Nivola su maccu fece col sandcasting: la sabbia che fa diventare la terra spiaggia brulicante o letto di amanti delusi.
Nivola e le mani, sue e di Corbù. Amicizia profonda e infinita, fra geometrie e pietre. Due mondi che proprio nella piccola Orani si sistemano per svelarsi.
È tutto così bianco che all'improvviso il bronzo annerito delle piccole madri ci blocca, come monito alla colpa. Noi che genitori non saremo.
E manca l'aria, di fronte a tanto contrasto. Alla nostra storia, alla storia di un uomo che per amore di donna lascia il suo amore di terra, per tornarci e donarle nuova gioia.
Riemergiamo da questa stessa terra solo per tornare in quella parte di museo che è il paese stesso, con la cresia de sa itria. Quella per cui Tittinu venne tacciato di blasfemia, di essere un visionario diabolico, da un popolo che festeggia i morti, toglie Cristo dalla croce in processioni infinite.
Mi incanto di fronte a quella facciata incisa, a solchi che tagliano il blu e donano angeli e sole.
E le mie dita intimorite si fermano a un millimetro dalla sua firma, ferita di facciata.