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MUS! Museo di Livigno e Trepalle
Thomas Ruberto
6 Novembre 2019
Una montagna di ammirazione e amarezza
Sei nella stanza “Legno e tempo” e se chiudi gli occhi e ti concentri puoi vedere un uomo stanco e pensieroso, i denti sporchi che masticano tabacco, le mani callose che accarezzano un tòcco di legno. L'uomo è chino sul tavolo da lavoro, attorno a lui gli attrezzi del falegname e sul pavimento i mucchietti di trucioli scappati da una pialla, a testimoniare la dura giornata di lavoro. Intanto nelle orecchie ti risuona ancora il tintinnio dei campanacci, quelli che i contadini appendono al collo di vacche robuste e indifferenti agli uomini, impegnate come sempre a cercare erba fresca in un pascolo impervio. Se senti il tintinnio è perché sei appena passato dalla stanza “Agricoltura e allevamento”, e se ti sei immedesimato come si deve porterai questo suono nelle orecchie fino a sera. È strano, ma quando sali al secondo piano dell'antica casa del museo di Livigno e Trepalle, ti sembra di fare più fatica del dovuto, come se la pendenza delle scale ti pesasse sulle gambe, mentre sulle alzate dei gradini leggi le date e le brevissime informazioni sugli accadimenti più importanti della storia locale; come se questa rampa ripida fosse la metafora della durezza della vita in montagna di un tempo, come se fosse la metafora di una modernità impetuosa, spesso ingrata e che non si può frenare, che annienta il passato, una modernità che in troppi cavalcano all'eccesso. Per fortuna i brutti pensieri scompaiono subito, cancellati dal calore che emana l'atmosfera di “La vita in una stanza”, dove puoi sentire le grida di gioia di un piccolo gruppo di bambini, i rimproveri scherzosi della mamma, il sonno profondo e rumoroso del papà, la monotonia pacifica delle preghiere ripetute all'infinito, là sull'inginocchiatoio. E se sbirci dalla piccola finestra che comunica con la stanza “La cucina e il riciclo” puoi accorgerti di un altro calore che ti viene incontro, amichevole: quello di un fuoco immaginario acceso nella stufa, del cibo povero e sostanzioso, degli oggetti in vetro e in latta che non si buttano via, per nessun motivo. Se poi provi a tenere ancora gli occhi chiusi e a lasciarti guidare dal rumore illusorio della legna che brucia nel focolare de “L'angolo della chimica”, puoi annusare l'odore dell'infinità di cibi cotti sul fuoco, della polenta, del riso, del latte appena munto che si trasforma in formaggio. E in due passi, avvicinandoti al tavolo sotto la finestra, puoi sfiorare con le dita le erbe medicinali raccolte nelle ciotole, in modo da restare sorpreso dalla facilità con cui riesci a distinguere i diversi odori delle erbe e degli unguenti. Ma il tuo viaggio a ritroso nel tempo non è finito, perché hai ancora un piano intero da visitare e non puoi smettere proprio ora di concentrarti e immedesimarti nella vita defunta di Livigno e Trepalle. Neanche te ne accorgi, ma dai corridoi e dalle stanze “Anima e cucina” e “Moda e fashion” dove custodire le provviste, cucinare i cibi, lavare, asciugare e filare la lana, sei subito spintonato nella modernità, nel turismo di massa, nella realtà che ci ha portato fino a qui, fino a oggi, e che ha cambiato nel profondo la vita in montagna, nel bene e nel male. Ecco perciò che guardi con un misto di ammirazione e amarezza il corpo in ferro della prima pompa di benzina aperta a Trepalle da don Parenti, o la seduta dura e scomoda di una vecchia seggiovia a due posti o, ancora, gli sci in legno usati come mezzo di trasporto e le prime divise del Soccorso alpino. E allora l'ultima stanza del MUS! – “La soffitta” bassa, fredda, spartana e semivuota utilizzata come deposito di oggetti e cibi vari – non può che confermare l'emozione di ammirazione e amarezza che continua a ronzarti nella testa. In fondo non c’è alternativa: se non si difendono la tradizione e il territorio non ci resta che ricordare, testimoniare, raccontare. E catalogare. Non ci resta che vivere il passato recente dalle stanze di un museo.
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