Museo delle navi vichinghe a Oslo
Rubiamo la “mattina libera per shopping “ al programma della gita stra-organizzata in Norvegia, per concederci, io e mio marito, una visita al museo delle navi vichinghe di Oslo.
Traghetto, passeggiata fra ville ritagliate da riviste di architettura, sole inconsueto, quasi gli stessi bagliori del Mediterraneo.
Il museo è ospitato in un edificio datato, una casa che si è prestata ad essere hangar , precario ricovero dalle intemperie.
Entriamo e dopo le formalità di entrata, subito, in alto, si staglia nel bianco delle pareti, un fronte di nave di legno scuro, quasi un filo che si allarga molto in basso , con evidenza di fasciame.
Mi avvicino un pochino, colgo la prospettiva di fronte, allineo il mio naso con quel filo di linea di mezzo. Con le braccia aperte contengo tutta la larghezza della spanciatura. La nave è mia.
Poi, lentamente, per non far sfuggire subito l’incanto del primo impatto, mi sposto di fianco, per vederla in tutta la sua lunghezza. Nera, lucida, molto intagliata.
Mi accorgerò in seguito che tutto era sparito, i visitatori, i custodi, i rumori, il tempo contingentato della visita, l’orario dei traghetti da rispettare, la stanchezza piacevole del fine gita, la nostalgia già dei posti visitati, e così via, per far posto solamente a quelle curve del legno della prua della nave. Quel doppio ricciolo incredibile, snellissimo, nell’immaginario collettivo replicato tante volte, ora nuovo e preciso. Una, fra le tante onde del mare, la solita ripetuta all’infinito nelle tempeste, di sicuro la più bella, cristallizzata per sempre nel legno nero.