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Galleria d'arte "Andrea Coppola" - Gallipoli
Luigi Liaci
17 Novembre 2019
Il valore universale dell'Arte
Gli occhi di quel Cristo sembrano guardarmi imperturbabili, quasi rassegnati. In quello sguardo vedo un po’ della mia sofferenza, della mia inquietudine. Una corona di spine, cingendogli il capo, lascia fluire sul suo volto alcuni rivoli di sangue. Mi accorgo che, nonostante l’atroce dolore, continua ancora a guardami fisso, negli occhi e nell'anima. Mi osserva, mi scruta, mi spoglia. Non so esattamente cosa voglia da me, non so in realtà cosa aspettarmi da lui. Un purpureo e avvolgente drappo copre la sua nudità, la sua vergogna per un destino che ormai appare irreversibile. Nel suo volto non avverto alcun tipo di sofferenza fisica. I suoi occhi sono, tutt'al più, di una serenità e di una tranquillità travolgenti. Mi stupisco come un simile supplizio possa essere invece uno strumento di redenzione. Essere redenti attraverso la pena, la tribolazione. Essere affrancati e purificati dal dolore. A volte penso al male come una necessità, come un qualcosa di indispensabile. La sua voluttà, la sua sensualità mi avvolgono e mi trascinano nel ricettacolo del vizio. Ne rimango affascinato, stupefatto, coinvolto. È umano cadere nel baratro del tradimento, del peccato. Ma aver il coraggio di cogliere il proprio errore, il proprio fallimento, non impedisce l’amore. Solo attraverso il contatto diretto con la caduta, dunque, ci si può rialzare, si può riparare all'errore commesso e si può giungere ad una vera e profonda conoscenza del Bene. Mi rendo conto, ora, della potenza umana dell’arte. Mi ha aperto gli occhi alla vita, al dolore, alla salvezza. Mi ha concesso la possibilità di un riscatto. Al lato del Cristo, gli occhi della Vergine non guardano me, ma il cielo. Un cielo aureo, immenso, spalancato, pronto ad accoglierla. Una schiera di paffuti e ignudi angioletti sorregge il suo maestoso trono, una grande nuvola, sospeso tra il cielo e la terra. Sotto di lei, in preda ad una ansiosa irrequietezza, si agitano figure dai ricchi e avvolgenti panneggi, smarrite da quel miracoloso evento al quale involontariamente stanno prendendo parte. In questa meravigliosa galleria, con sede nella mia città natale, mi sento avvolto in una tavolozza di sguardi. Sguardi magici, sofferenti, lieti, imperturbabili, onirici. Che grande forza ha l’arte! Com'è universale il suo messaggio! Ella mi trafigge il cuore come una lama aguzza, tagliente come quella che infilza il cuore addolorato della Vergine. In questo tripudio di sguardi non mi sento smarrito. Anzi, mi trovo a mio agio. Intorno a me non vedo sconosciuti, ma persone che ho sempre saputo. Che ho sempre incontrato, con cui ho fatto amicizia, con cui ho condiviso i momenti della mia vita. Il ritratto di un nobiluomo mi guarda con solennità, mentre con la mano impugna il suo cappello; un piccolo putto dormiente si rifugia nel magico mondo dei sogni, forse per sfuggire alla frenesia del mondo; una penitente Sant'Agata rivolge lo sguardo verso in cielo, mentre con una mano sorregge, sanguinanti, i due seni recisi. Anche in lei non c’è dolore negli occhi, ma un senso di consapevole e lieta rassegnazione. Un immenso paesaggio campestre, con un cavaliere e dei contadini, mi fa viaggiare con la mente in luoghi remoti e inaccessibili, onirici, palpitanti di vita, quieti nella loro asciutta semplicità. In questo meraviglioso gioco di sguardi, di prospettive, che mi avvolgono e che mi trascinano, come un turbine che spazza con incantevole semplicità delle inerti foglie secche, io vedo il senso ultimo dell’arte. Non posso fare a meno di immedesimarmi e di penetrare negli sguardi, nelle movenze, nella plasticità degli abiti, nell'immensità dei paesaggi, senza aver gustato l’ebbrezza dell’amore. Solo l’amore può concedere all'arte il senso ultimo del suo universale messaggio. Solo amando si può cogliere il suo incommensurabile e supremo valore. Mi volgo ancora intorno, mi perdo tra le luci della galleria. Mi lascio ammaliare dai colori a olio che rilucono nella piccola sala. Un’atmosfera magica rende tutto più sognante. Mi sembra di stare in un film! E tutto mi colpisce. Mi rivesto di bellezza, aggroviglio il mio sguardo ai tanti volti che sembrano dirmi qualcosa. Sento una voce, un sibilo. Ma no, non è possibile! Sto sicuramente immaginando tutto. Ma quella voce non la percepisco con le orecchie. La sento con il cuore. Mi sobbalza nel petto, batte più velocemente. Sembrerebbe voler uscire fuori dal petto tanto pulsa con violenza. Sembra un mare in tempesta, irrequieto, incontrollabile, molto simile a quello che mi si staglia dinanzi. Una marina in burrasca, un piccolo porticciolo in subbuglio, fragili pescatori cercano invano di riportare a riva piccole imbarcazioni di legno. Delle grandi onde, bianche e schiumose, sbaragliano la quiete marina, s’infrangono contro grandi scogli aguzzi e ne levigano le estremità appuntite. Quest’immenso olio su tela sembra fatto a pennello per me! Mi sento proprio come quel mare in burrasca, dove le certezze vengono meno, il dubbio diviene elemento e conoscenza di vita. Mi sembra di ascoltare il vorticoso e incessante palpitare delle scaglie di mare, di vedere con i miei occhi i pescatori che cercano in tutti i modi di salvare ciò che è rimasto del loro piccolo porticciolo. Ascolto un’altra voce, più umana, più sensibile. Ora mi sembra di ascoltarla con le orecchie. È qualcuno che mi sta chiamando. Mi avverte che è giunta ora di andare via. Io insisto chiedendo di rimanere qualche minuto in più. La mia richiesta viene paternamente accettata. Mi immergo nuovamente in quel paesaggio in subbuglio. Noto un piccolo particolare, forse sfuggito ai più: su un’alta torre che si staglia sullo sfondo, in una piccola finestrella, intravedo la sagoma di una fanciulla. La riconosco da folti e lunghi capelli e da un abbozzato vestito da notte, di colore chiaro. Preoccupata dalla burrasca, starà pensando al marito che la notte precedente era andato in barca. Non riesco a distinguerne i caratteri del volto, tanto è piccola l’immagine, ma posso immaginare la preoccupazione in quell'amorevole sguardo. Nella sua incerta figura rivedo le preoccupazioni che ogni giorno occupano le nostre faccende. E che, irrimediabilmente, infarciscono la nostra vita. Sento ancora una voce, ora più salda. È qualcuno che, dalla soglia dell’uscita, mi sta chiamando. Ora è giunto veramente il momento di andare via. Stacco a malincuore lo sguardo da quel mare in burrasca. È come se lasciassi, in quella sala, un pezzo del mio cuore, della mia mente. Ho assorbito da quegli sguardi tanta vita, tanto amore, tanta sofferenza. Mi sento arricchito. Mi sento un’altra persona. Sento anche che quei volti, inanimati, del semplice olio su tela, abbiano assorbito qualcosa di me, un pezzo della mia anima, del mio essere. Lascio la sala, attraverso un corridoio illuminato le cui pareti sono fregiate con preziosi richiami barocchi. Sto per attraversare l’uscio. Ma, prima di andare via, volgo ancora uno sguardo indietro. Mi intrido di qualche goccia rimasta lì, a penzoloni, che non avevo catturato prima. Saluto la curatrice della galleria. Prendo sotto braccio una persona a me cara, ci incamminiamo per le tortuose via della città vecchia. Consapevole che abbraccerò nuovamente quegli sguardi magnetici, ritrovo tra le viuzze dell’antico borgo sul mare l’infinito e universale messaggio dell’Arte.
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