"Un incontro col passato"
UN INCONTRO COL PASSATO
(Dal diario di Giuseppe Bertini, Milano, 25 aprile 1881)
Camminare per le stanze di questa casa, che ormai è diventata un museo, mi ha sempre scosso: poche altre cose mi toccano così nel profondo. Ormai mancano circa tre ore all’inaugurazione e senza che me ne sia reso conto mi ritrovo nella stanza preferita del mio caro amico Gian Giacomo.
Sono passati poco più di due anni dalla sua morte, ma il ricordo di lui è ancora vivo nella mia mente. Non potrò mai scordare il nostro primo incontro, quando chiese il mio aiuto per la ristrutturazione del suo appartamento particolare in Corsia del Giardino. Diventai uno dei suoi più fidati collaboratori e mi venne l’idea di decorare le varie ali dell’edificio con stili diversi: è da quell’intuizione che percorrendole sembra di viaggiare attraverso il tempo!
Fu proprio grazie al rapporto iniziato come collaborazione professionale che la nostra amicizia decollò: com’era piacevole andare insieme alla ricerca di opere per abbellire i saloni del palazzo!
Mi sembra sia ieri il giorno in cui mi incaricò di decorare il suo studiolo in un fiammeggiante stile trecentesco. Ecco, quella volta non me lo chiese in quanto datore di lavoro, ma come amico e io fui veramente lieto di accontentarlo. Era rimasto estasiato da una vetrata che mio fratello e io avevamo realizzato per l’Esposizione Universale tenutasi a Londra due anni prima, cosicché gliene facemmo una copia fedelissima. In quell’epoca eravamo vetrai al culmine della fama, autori persino delle Vetrate del Duomo; d’altronde nemmeno io ero un artista di poco conto, cresciuto nelle aule dell’Accademia di Brera in cui ancora oggi insegno.
All’improvviso un raggio di luce mi colpisce gli occhi e sono costretto a rivolgere il mio sguardo alla vetrata raffigurante Dante. Un movimento improvviso, durato un attimo appena: la veste rosso fuoco del poeta comincia a ondeggiare, come se attraverso il freddo del vetro stesse soffiando una brezza leggera. Stropiccio gli occhi: sarà solo frutto della mia immaginazione? Timoroso, poso ancora lo sguardo sulla figura e spero sia solo uno scherzo giocato dalla mia mente! E invece no, è ancora lì; il movimento che sembrava mera illusione, ora ai miei occhi è chiaramente realtà. Dante, dall’alto del suo trono, mi fissa con fare arcigno sbattendo ripetutamente le palpebre e scuotendo la testa.
“Cosa sta succedendo? Mi sto forse immaginando tutto?” chiedo. Il mio sguardo ancora sulla sua figura.
“No, mio caro pittore. La nostalgia che provi la sentivo fin lassù e quindi ho deciso di venire a fare due chiacchiere con te. Prla pure, senza timore”.
A quel punto raccolgo un po’ di coraggio e rispondo: “Come faccio a non sentirmi intimidito? Ai miei occhi Voi siete grandioso, non posso fare a meno di ritrarmi”.
“Ah!” esclama soddisfatto Dante, “lo so di essere particolarmente apprezzato dagli studiosi del tuo tempo! Nelle università sono letto con interesse e nelle scuole, persino nelle case, vengo commentato con passione. Che soddisfazione sapere di essere stato il padre fondatore di una lingua nazionale, tanto amato da diventare il simbolo di un’intera una cultura! L’italiano è la lingua che sono stato in grado di nobilitare e che ora viene utilizzata in tutta la penisola. Ho sempre sperato che la mia opera potesse contribuire a plasmare la cultura di una nazione intera, ma mai avrei immaginato di poter avere un ruolo così importante.”
A quell’affermazione non riesco a trattenermi dall’esclamare: “Pensi, Maestro, Voi rimanete una fonte d’ispirazione per molti di noi. Il mio carissimo amico Gian Giacomo per esempio aveva l’abitudine di venire in questo studiolo e passarvi ore e giornate intere. Forse Voi non lo sapete, ma proprio qui lui ha esalato il suo ultimo respiro, rimirando i colori di questa mia vetrata”.
“Certo, l’ho visto con i miei stessi occhi”, risponde Dante con tono pacato. “Ho sempre sentito il suo amore per me; avvertiva persino una spiccata somiglianza tra noi. E, non posso negarlo, anch’io mi sento vicino a lui. Cosa ci accomuna? Il senso di solitudine e di nostalgia che si prova dopo un esilio, il desiderio di rivedere luoghi dove mai più si può tornare: sentimenti difficili da comprendere.
Sul più bello di questa conversazione fattasi ormai amichevole, quasi intima, interrompo Dante: “Avete proprio ragione. Patriota come Voi, il mio amico Gian Giacomo ha partecipato ai moti delle Cinque Giornate di Milano contro il dominio austriaco. E per lui, come per tutti quelli che hanno contribuito all’Unità d’Italia, Voi avete rappresentato un modello a cui ispirarsi.”
Senza che quasi me ne renda conto i miei occhi iniziano a inumidirsi: “Anche se sono già passati due anni dalla sua morte, provo ancora dolore ripensando alla sua vita tormentata, provo un fremito ripensandolo esule.”
Sono in difficoltà, è chiaro, e Dante allora mi viene in soccorso: “So bene di cosa parli e non credere che la forza d’animo e la dignità di Gian Giacomo mi lascino indifferente. Anzi, sono proprio la ragione che mi ha spinto qui: le vicende di uomini tanto nobili meritano di non sbiadire e il loro nome deve rimanere imperituro nel tempo. Ancora oggi io vivo attraverso le mie opere: nello stesso modo Gian Giacomo potrà rimanere vivo grazie alla sua collezione di opere d’arte”.
Il sommo poeta coglie in me un accenno di smarrimento e aggiunge: “Ricordati, hai un compito importante: ogni tuo sforzo, ogni tuo piccolo gesto volto ad accrescere questa splendida raccolta lasciata dal tuo amico non farà che aumentare il prestigio di questo museo e di conseguenza il ricordo che i posteri conserveranno di lui.”
Mai fino a quel momento avevo pensato che il destino potesse aver scelto proprio me per un compito così elevato.
“Vi sono riconoscente per avermi illuminato: cercherò sempre di essere all’altezza di…”.
Ma in quel preciso istante un raggio accecante di sole mi colpisce e d’istinto strizzo gli occhi con forza; le parole non escono più.
Una reazione durata pochi attimi, ma quando mi rivolgo nuovamente al mio interlocutore, lui torna ad essere una figura immobile, cristallizzata.
Cerco di richiamare la sua attenzione a più riprese, ma non accade nulla; mi avvicino, sfioro la sua veste, provo a tirarla, ma non trovo nient’altro se non la fredda superficie della vetrata.
La sua figura è inanimata. Dante si staglia davanti a me con un’imponenza che poco fa non aveva…. Un altro scherzo della mia immaginazione?
I rumori degli ultimi preparativi prima dell’inaugurazione fremono col vociare di sottofondo, riprendo contatto con la realtà e mi affretto a terminare la mia ricognizione: Dante aspetta gli ospiti dell’evento.