PHYSETER MACROCEPHALUS
Spesso, quando ero bambino, il nonno mi portava in visita al Museo di storia naturale, dentro i giardini di via Palestro, nella città in cui allora vivevo, Milano. Mio nonno aveva una lunga barba bianca, gli occhi cerulei, il pastrano e il cappello nero. Guardavamo, appena entrati, gli insetti con uno spillo in mezzo al torace, supini, quasi crocifissi nel bianco del cartone, in bella mostra a piano terra. Gli piacevano, soprattutto il cervo volante, che lui diceva che se ti si infilava tra i capelli, te li avrebbe sempre tirati appeso a te, per sempre, e niente, niente, neanche la cesoia del giardiniere, sarebbe mai riuscito a togliertelo, quel maledetto cervo volante, e c’era da crederci a mio nonno, con quegli occhi intensi che ti fissavano ; è per quello che ancora oggi porto sempre un Panama, d’estate.
Salendo le scale, con tutti i busti marmorei di scienziati serissimi e notissimi del XIX secolo, dallo sguardo così severo che se li avessi incontrati sarei svenuto, entravamo, io stringendo forte la mano del nonno perché avevo paura, nella stanza dove erano esposte le bacheche degli animali imbalsamati, tipici di quell’epoca, oggi folli simulacri di massacri di animali in paesi esotici dove l’uccidere il diverso era la regola ( forse anche oggi?).
Quello che mi impressionava di più era il capodoglio. C’era infatti, e c’è ancora, un grandissimo scheletro di capodoglio sospeso in aria con dei fili di nylon. Il nonno a quel punto e punto felice, incominciava a raccontarmi di Giona e del Leviatano Maledetto e del Capitano Achab, di Moby Dick e della Balena di Pinocchio. Si divertiva un casino nel vedermi così impressionato dai suoi racconti. Quell’animale era cattivo, cattivissimo, e mangiava capitani, ragazzini e burattini, e forse un giorno avrebbe mangiato anche me.
E c’era da credergli a mio nonno, con quella barba così bianca e lunga.
Poi mio nonno morì, ma io non vidi la sua salma, ero troppo piccolo. Ma ancora oggi non sono certo della sua morte, penso che sia più probabile che sia sulla Pequod a solcare i mari e a cercar balene insieme a Melville.
Tornai più volte al Museo di storia naturale di Milano da grande, mentre passavo dalla città, pur non vivendoci più, ma sempre più appassionato di questo incredibile essere, che credo sia unico nel suo genere, e che in realtà non sia nemmeno un cetaceo, ma che sia così classificato per la mania umana di dare un nome alle cose e agli esseri . Notai, in una delle mie scorribande al museo, mangiando un tramezzino e una birra, non visto, che il cranio di quello scheletro in bella mostra era discordante dal cranio di tutti gli altri mammiferi, terrestri e marini. Nella parte destra del suo cranio, infatti, vi era un alloggiamento profondo, che nella parte sinistra non c’era. Ciò era ben visibile, dato che lo scheletro al museo era circa di diciotto metri. Scoprii nei miei studi che ciò era dovuto al fatto che in quella porzione di cranio è alloggiato uno strumento che in italiano si chiama cera, mentre in inglese si chiama spermhead ( d’altro canto i sassoni sono volgari). In realtà questa sorta di sacco contiene una specie di cera, ma magica, perché il capodoglio, o Organante in siciliano, è in grado di solidificare o liquefare questo materiale a far sì che una creatura così grande, senza compensare, possa raggiungere profondità marine fino a millecinquecento metri e tornare indietro in un batter d’occhio, e non si chiama spermhead, ma Phiseter Macrocephalus . E’ per questo che l’Organante distrusse la Pequod di Achab una volta arpionato, è per questo che venne chiamato il Leviatano Maledetto. Perché distruggeva le navi portandole con sé nelle profondità marine. Collodi non c’entra; forse era affascinato ( come me) da questo splendido animale, il più grande predatore del Mondo. Nell’uscire dal museo faccio sempre un giretto nei Giardini di via Palestro, così antichi e ben tenuti da sembrare pieni di fantasmi ben vestiti, in cilindro e bastone da passeggio. E’ tanto che non mi reco lì ma credo che, a ben guardare, potrei scorgere mio nonno, col suo pastrano nero, intento a lanciare briciole ai piccioni, prima di ripartire, prima di reimbarcarsi sulla Pequod.