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Museo del Vasa- Stoccolma
Clara Annarita Giannitrapani
1 Dicembre 2019
Il Vasa e il suo museo
Può un fallimento catastrofico trasformarsi in un successo straordinario? Prima di rispondere a questa domanda, permettetemi di raccontarvi la mia storia. Mi presento, mi chiamo Regalskeppet Vasa, per gli amici solo Vasa. -Regalskeppet- letteralmente significa “Nave di sua Maestà”, ed è proprio quello che sono: un grandioso vascello realizzato per il casato dei Vasa, famiglia reale svedese che regnò tra il 1523 e il 1654. Proprio così, sono svedese, ufficialmente nato nel 1626, anno dell’impostazione della mia chiglia. Dovevo essere la nave più bella e potente che si fosse mai vista. Ero stato pensato per essere uno dei bastimenti più importanti della Marina Svedese, dovevo contenere circa 64 cannoni ed essere l’arma decisiva contro la Polonia, all’epoca nemica della Svezia. Il re ci teneva tantissimo alla mia realizzazione, era ricco di consigli e imposizioni a cui il mio “papà”, il costruttore navale olandese Henrik Hybertsson non poteva dire di no. Henrik era un grande costruttore, scelse artigiani specializzati per rendermi bello e funzionante: maestri d’ascia, fabbri, carpentieri, scultori, pittori, vetrai, velai - di tutto di più - per un totale di 400 persone. Forse la pressione e lo stress furono la causa dell’improvvisa morte del mio “papà”, che mi lasciò prima che fossi ultimato. Il re, dispiaciuto per l’accaduto, non fermò i lavori, anzi pretese che l’opera di costruzione fosse portata avanti dalla moglie di Henrik, dal fratello e da i suoi apprendisti. Erano tutte brave persone, lavoravano duramente sul mio scafo, ma era tanto inesperti. Il re era ansioso di vedermi solcare il mare, metteva pressioni, chiedeva continue modifiche, ogni giorno qualcosa cambiava in me. Ero più lungo del previsto, avevo un ponte in più per i cannoni, ed ero tanto alto, forse troppo. La mattina mi svegliavo e avevo le vertigini, mi sentivo tanto instabile. Come dopo un pranzo di Natale mi sentivo sempre più pieno e pesante, ma il grande giorno si avvicinava. Il re, sempre lui, aveva tanta, ma tanta fretta di mostrarmi al mondo e decise che sarei stato varato il 10 agosto del 1628. Gli artigiani che laboriosamente mi giravano intorno erano molto agitati, vedevano che non stavo bene ma ormai il tempo stringeva e la prova di stabilità era alle porte. Al tempo, nella Svezia del XVII secolo, la prova standard per testare la stabilità di una grande imbarcazione, come un vascello, consisteva nel far correre contemporaneamente trenta marinai da una lato e l’altro della nave per farla dondolare. E’ stata una prova difficile per me, ho dondolato tantissimo tanto che l’ammiraglio Clas Fleming fermò la prova. Clas era veramente preoccupato, non sapeva che fare. Non era sicuro navigare con me in quelle condizioni, ma nessuno voleva andare contro la volontà del re, allora provarono a mettermi qualche altra zavorra per rendermi più stabile. Mi sentivo pieno come un tacchino, ma le maestranze dissero che ero pronto per il mare e iniziarono ad abbellirmi. Per il giorno del varo il re avrebbe indossato il suo migliore vestito e anche io non fui da meno. Come era uso in quel periodo i miei amici artigiani mi rivestirono con delle sovrastrutture decorative in legno, tutte dipinte in oro e colori sgargianti. Immaginatemi, le decorazioni sulle fiancate, sul ponte pali issati appositamente per mettere degli stendardi. Per volere del re, furono portati i cannoni, le palle e i barili di polvere. Non è finita qui, salirono a bordo tonnellate di quadri, vasellame, cristalleria. Ad un certo punto non sapevo più se fossi un vascello o un castello galleggiante! Mi sono reso conto che ero tanto, ma tanto pieno. Pensate il livello di immersione dello scafo era pericolosamente vicino ai portelli dei cannoni di maggior calibro, che per volere del re dovevano restare aperti. Scusatemi, sono emozionato. Mi si drizzano ancora le corde delle vele al ricordo di quella stupenda mattina di agosto. Ero così bello, alto 52 metri, lungo 69, con le mie dieci vele e 3 alberi a vele quadre, tutto colorato, con molti amici che stavano salendo sul mio ponte. Tutta Stoccolma era sul molo, una bella giornata di festa con poco vento. Arrivò il re e la famiglia reale, tutto era pronto. Venne dato il segnale, e finalmente mossi i miei primi passi. Che bello scorrere sulle acque, pensavo lo avrei fatto con più agilità, ma era la mia prima volta, avrei avuto tempo per migliorare. Le decorazioni e tutte le ricchezze che sono state caricate al mio interno non le avrei portate in guerra, dopo il viaggio inaugurale sarebbe stato rimosso tutto, sarei stato più leggero e avrei volato sul mare. Il ricordo di quel giorno è ancora vivido nella mia mente, ricordo che pensai: “Oddio mi gira la testa, sarà il vento. Riecco il vento e mi gira tutto intorno, timoniere aiutami tu! Ecco bravo, la nave ha vacillato ma tu sei stato pronto. Torna il vento, non ce la faccio, timoniereeee!” Scusate, il ricordo è troppo doloroso. Sono affondato a circa 120 metri dalla costa, dopo aver percorso meno di un miglio marino. Ho portato con me le decorazioni, le ricchezze e 130 amici tra membri dell’equipaggio e le loro famiglie. Mentre la città era sgomenta, io mi adagiavo sul fondale fangoso poco profondo di Stoccolma. Dovevo essere il vanto della Marineria Svedese e in pochi minuti ero diventato la vergogna del paese. I miei lunghi alberi furono recisi, perché spuntavano fuori dalle acque e ricordavano a tutti il fallimento. Le ricchezze che affondarono con me furono in parte recuperate, grazie all’ingegno dell’italiano Francesco Negri, che realizzò una campana subacquea. Vennero recuperati anche i famosi cannoni in bronzo, il fiore all’occhiello sul mio abito di gala, ma per portarli agilmente in superficie mi fecero a pezzi, tagliarono parte dei ponti delle strutture sovrastanti. Pensate, il re pretese l’istituzione di una commissione d’inchiesta per trovare il colpevole del disastro. Inutile dire che non fu trovato nessun colpevole e il perché è racchiuso in questa frase maliziosa detta da un notabile svedese ad un diplomatico straniero: <>. Per lungo tempo ho dormito, pensavo mi avessero dimenticato, quando molto tempo dopo, direi secoli, iniziai a vedere degli strani movimenti intorno a me. Circa 333 anni dopo il mio affondamento, un ricercatore privato, Anders Franzén ritrovò là il mio scafo e decise di riportarlo in superficie, era il 1956. Non dimenticherò mai il giorno che ho rivisto la luce, il 24 aprile 1961. Con uno notevole sforzo fisico ed economico, scienziati e sommozzatori riportarono la maggior parte del mio relitto in superficie. La gente intorno a me è esterrefatta, sono integro al 98%, l’ambiente lagunare dell’area intorno a Stoccolma mi ha conservato bene. La poca salinità dell’acqua ha fatto sì che i miei legni non venissero divorati dalla Teredo Navilis (un verme che mangia il legno delle imbarcazioni, ma che non sopravvive in acque poco salate e fredde come quelle del Mar Baltico). Sono riusciti persino a recuperare diverse cose: le mie bellissime vele, molti degli oggetti di bordo e persino i resti di alcuni amici che con me si sono adagiati sul fondo. Adesso penserete e “poi sei finito in un museo”. No, non così in fretta. Sono un vascello delicato, lo sono sempre stato. Estratto dalle acque del Baltico, stavo per scomparire definitivamente. Dopo 333 anni stavo per morire per una reazione chimica. Il mio legno, infatti, ha assorbito per anni lo zolfo presente nelle acque del porto, questo una volta a contatto con l’aria si trasforma in acido solforico. Poveri scienziati, li ho fatti ammattire. Per frenare questo mio decadimento fui coccolato con tanta acqua dolce, poi per rendermi più forte fui consolidato con una sostanza dal nome difficile, glicole polietilenico per gli amici PEG. I miei nuovi amici restauratori mi spiegarono che PEG è un composto chimico che penetrando nel mio legno avrebbe sostituito l’acqua presente nelle fibre, rendendomi più forte e più bello. Come si può rifiutare un trattamento del genere, dopo 333 anni di solitudine, è stato bello farsi coccolare, ma non immaginavo che ci sarebbero voluti 17 anni di iniezioni di PEG. Nel frattempo mi sono messo al passo con i tempi e ho osservato tutti gli scienziati che si sono presi cura di me. Per molto tempo dopo il mio ritorno dalle acque ho vissuto presso i cantieri navali di Stoccolma. Per potermi curare era stata costruita una struttura galleggiante e successivamente anche due postazioni di osservazione per i visitatori, lungo le fiancate. Il numero dei visitatori aumentava di anno, in anno e fu così che nel 1981 il governo svedese decise di costruire un museo permanente tutto per me. Pensavo mi avessero dimenticato e adesso stavo per avere un museo tutto mio! E finalmente vi parlo della mia bellissima casa, da dove vi racconto questa storia. Göran Månsson e Marianne Dahlbäck gli architetti che hanno progettato la meraviglia in cui mi trovo, hanno puntato a realizzare uno scrigno per un’unica opera. Proprio così, nel mio museo l’unica opera sono io. Seguendo questo idea di unicità, il museo ruota in torno a me, non solo concettualmente, ma anche fisicamente. Quando arrivate al museo siete accolti da un edificio i cui tetti ricordano un po’ i colori degli scafi delle navi imbevuti di pece, marrone scuro, quasi nero, tra cui svettano tre alberi di un galeone. Come i miei alberi fuoriuscivano dalle acque della baia, così adesso questi alberi sovrastano il tetto dell’edificio, rendendo il museo riconoscibile a distanza. L’edificio si sviluppa in altezza su più livelli che mi girano intorno, per permettere ai visitatori di affacciarsi da diverse altezze e ammirarmi da più angolazioni possibili. La spirale che mi avvolge crea intorno a me un vortice temporale, nel quale trasporto anche il visitatore. Infatti, chi mi viene a trovare, mentre percorre i vari livelli, si immerge gradualmente in un altro mondo, quello della Svezia del XVII sec. Grazie agli oggetti ritrovati nel mio scafo e alle informazioni raccolte dagli studiosi, chi visita il mio museo non resta solo affascinato dalla mia innegabile bellezza, ma vive attraverso i reperti le storie di chi ha vissuto con me prima del naufragio. Così, salendo salendo e girandomi intorno scoprirete le fasi di costruzione del mio scafo, come si viveva a bordo della nave, cosa mangiavano i marinai, come vivevano, quanto guadagnavano, persino come si vestivano. Difatti le acque del Baltico non hanno conservato solo me, ma anche i vestiti e gli oggetti degli amici che si sono addormentati con me. Tutto quello che vedrete è reale, le uniche cose ricostruite sono i modellini che rappresentano il mio affondamento, una parte di scafo ed un timone, realizzati per i bambini che possono provare a capire quanto fosse difficile navigare in antichità. Se siete volenterosi e arrivate fino ai piani alti (tranquilli, ci sono gli ascensori!) scoprirete le storie delle donne che lavorarono alla realizzazione delle mie vele, il significato e il potere delle immagini realizzate per abbellirmi, le famose statue e sovrastrutture in legno e, per finire, i documenti dell’inchiesta voluti dal re. Una volta giunti in cima ci sono delle panche dove potete sedervi e ammirarmi dall’alto, ed è qui che scoprirete cosa ha di speciale il mio museo. Con un solo colpo d’occhio vedrete un posto diverso dai soliti musei, un ambiente vivo con un bel brusio di sottofondo, un misto tra il suono delle voci dei bimbi che imparano giocando qualche livello più sotto, i suoni della sala video che trasmette film sulla mia storia in diverse lingue (anche in italiano), lo stupore di chi entra e mi vede per la prima volta. Dall’alto del museo del Vasa potrete piacevolmente notare che, anche se tutto mi ruota intorno, non è stato trascurato nessun aspetto della vita del tempo e tutti, di qualsiasi età o lingua, stanno sfogliando una grande pagina di storia e ci si stanno perdendo dentro senza annoiarsi. Sono molto fiero della mia casa, hanno proprio pensato a tutto e tutti; potete persino sorseggiare un tè o un caffè al bar mentre ammirate il panorama di Stoccolma e il cantiere navale in cui sono stato costruito, non tanto distante dal museo. Certe volte il caffè non basta e vedo tutti affannarsi a scaricare tavoli. Di solito succede per alcune cene di gala, quando circa 800 persone cenano con me ed intorno a me. Sicuramente è inusuale, ma forse è questo che rende differente il mio museo, la sensazione di stare a casa. Mi commuovo sempre un po' quando vedo i visitatori dirigersi verso l’uscita, ma soprattutto quando si soffermano nella parte più scientifica dove i miei amici archeologi e restauratori hanno illustrato il loro lavoro e dove c’è una postazione, un laboratorio che giornalmente si prende cura di una delle mie parti. Adoro osservare i bambini che schiacciano i loro nasi contro il vetro per vedere cosa sta facendo lo staff scientifico e poi, non paghi di quello che hanno visto, si girano verso i propri genitori e iniziano a formulare un fiume di domande. La curiosità e la voglia di sapere che ho suscitato nel loro animo, con il mio museo e la mia storia, è il momento in cui comprendo la mia importanza e cosa questo meraviglioso posto offre ogni giorno a tutti i viaggiatori. Quando guardo il museo in cui mi trovo, penso che non sarebbe potuto andare diversamente: mi trovo in un posto unico, in cui è esposta un’unica opera che è anche l’unico vascello del XVII recuperato praticamente integro. Credo di aver parlato troppo, adesso dovrei concludere questo racconto, ma in realtà non posso mettere fine ad una storia in continua evoluzione. Per questo non chiudo la storia, ma vi lancio un invito. Venitemi a trovare! Prima di salutarvi ripropongo il quesito iniziale: può un fallimento catastrofico trasformarsi in un successo straordinario? Nel mio caso e nel caso del mio museo, il Museo del Vasa, posso dare una risposta affermativa, del resto siamo uno luoghi più visitati della Svezia. Il Museo del Vasa forse non aveva bisogno del mio racconto, ma ne vado tanto fiero e volevo mostrare a tutti voi cosa è possibile fare quando professionalità, intelligenza e giusti finanziamenti vengono adoperati nel migliore dei modi. In un mondo che non ammette sbagli e che difficilmente concede seconde opportunità, la mia storia e il mio museo offrono a tutti un’ esperienza unica e un messaggio di intelligenza e resilienza: non tutti i fallimenti sono delle sconfitte, la volontà può trasformare un disastro in una grande opportunità. Ogni giorno come voi lotto contro i segni del tempo, ma grazie alla professionalità dello staff del Museo del Vasa miro a durare per altri secoli. Grazie per aver letto tutta la mia storia e quella del mio museo, vi aspetto, a presto.
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