Vi consiglio caldamente Fratelli, di Carmelo Samonà (1978), un bellissimo libro fortunatamente ripubblicato nel 2008.
Il protagonista e suo fratello più giovane, malato di mente, vivono soli in un grande appartamento avito della famiglia decaduta, vuoto, quello che si poteva vendere è stato venduto. I due convivono in mezzo a diversi rituali: i grandi e piccoli viaggi (fantasticherie sceneggiate, a vari livelli di immaginazione e culturali), la sveglia la mattina con piccola bussata e fuga, le passeggiate ai giardini con relative scappate del fratello matto, i pasti con la raccolta di briciole e riserve nelle tasche e dappertutto, lo scambio dei vestiti, i silenzi, qualche rimbrotto, il rito della defecazione e la sacralità degli escrementi, ma soprattutto i giochi di fantasia, come li fanno i grandi con i bambini, cioè recitando malamente.
Da anni incombe l’ipotesi di un ricovero in un ospedale psichiatrico (1978!), ma la vita scorre come se dovesse continuare così per sempre, e il sano forse si pente, ma non può farlo, di aver dedicato la vita al malato.
Alcuni fatti scatenanti: l’incontro con la donna col cane zoppo che regala una mela, e quella volta che il fratello matto aveva cominciato a fare un gran trambusto presso un banchino di stracci, e il fratello savio e narratore si era augurato che lo linciassero. Poi c’è il furto dei suoi appunti da parte del fratello, appunti che probabilmente sono quello che stiamo leggendo, un’oasi di ordine nel marasma della giornata, un appiglio abbastanza inconsistente. Però non è una vera oasi, è una fata morgana.
Nella razionalizzazione fallimentare del sano non c’è nulla di medico, un tempo aveva provato a redigere una tabella temporale, con relativi cartelli da attaccare per tutta la casa, ma la cosa si era esaurita da sé.
Una prosa perfetta, sempre sul filo del rasoio: non si sa mai che cosa abbia importanza, se una discesa negli abissi dei Grandi viaggi (quelli più astratti) o i dialoghi recitati in parte ripresi da avventure libresche, o la mela, o la passeggiata in un quadro di coordinate spazio-temporali ben definite (il viale da fare è sempre quello), che però il fratello cerca di rompere con le sue fughe nei vicoli.
A farla semplice si direbbe che il protagonista è avvolto e assorbito nel mondo del matto, non ne ha un altro da far valere, da imporre (forse solo la parola narrante, asettica, sobria, apparentemente lucida, ma isolata, detta a nessuno). Però la pagina questo non te lo dice chiaramente, non si sa mai se siamo di qua o di là, se siamo con colui che narra, o se siamo dall’altra parte.
Letto oggi fa venire nostalgia di una scrittura che non va al fegato o allo stomaco o al cuore, ma direttamente al cervello.
Commenti dei lettori
Un piccolo divertimento