rimedio:
Philip Roth, Zuckerman scatenato, Einaudi, Torino
Pensate che la vostra vita possa cambiare guadagnando un milione di dollari? Soprattutto se siete diventati scrittori di successo, pubblicando finalmente, dopo tanti rifiuti, il libro che vi ha dato la notorietà? Siamo nell’America dei tardi anni Sessanta, e il fortunato scrittore è Nathan Zuckerman (alter ego di Roth), autore di un bestseller dal titolo Carnovsky. Ma per Zuckerman la vita non sembra essere cambiata in meglio. Divorziato, irrequieto, nevrotico, ed ormai ricco grazie a quel milione di dollari, continua a girare in autobus, a mangiare in rosticcerie d’infima qualità, e a sborsare “trenta dollari al mese per un servizio di segreteria telefonica” che risponda al suo posto e scopra chi lo sta chiamando. Insomma, nonostante il successo, vive da recluso e la sua vita è tutt’altro che “scatenata”. Tutti, però, immaginano Nathan Zuckerman come il suo protagonista, lo “scatenato” Gilbert Carnovsky, e, strizzando l’occhio, gli chiedono, se tutto ciò che ha scritto sia davvero autobiografico. Dipinto di volta in volta come un erotomane, un onanista, un “nemico degli ebrei”, o un uomo cinico e senza scrupoli, deciso a sacrificare gli affetti più cari al solo fine di stimolare la propria immaginazione e la propria ricerca della verità, Zuckerman vive nella paranoia. Tormentato da aspiranti scrittori, (come il pedante e ridicolo Alvin Pepper, che lo considera encomiasticamente “il Marcel Proust di Newark”, e a cui deve sfuggire correndo via da una gelateria); da una voce misteriosa che lo minaccia di rapire sua madre se non gli consegnerà parte della somma incassata; dalla noia della moglie Laura, donna dolce e virtuosa, nonchè impegnata politicamente contro la guerra in Vietnam; dagli aspiranti folli che potrebbero farlo fuori (siamo ai tempi di John Fitzgerald Kennedy e Martin Luther King), e soprattutto dalle ultime parole (“Bastardo!”) pronunciate dal padre Victor sul letto di morte, che Nathan immagina rivolte a sé. Come il Prometeo “liberato” del mito o “slegato” del dramma di Shelley, Zuckerman cerca di liberarsi dalle catene della società, dai ricatti familiari e della morale, affermando la propria “libertà di divertirsi”, ma riesce solo ad infliggersi ed autoimporsi comiche punizioni, che gettano la sua vita nel caos totale. Luigi Toni