L’acchito

L’acchito

Commenti dei lettori

  • 22/12/2008 - 00:45 Giuliano Brenna

    L'Acchito

    Il protagonista del romanzo, Dino, vuole assolutamente imparare a giocare a biliardo e chiede all?imbattibile Cirillo di insegnargli. Cirillo pone come condizione per concedere a Dino il suo insegnamento, che quest?ultimo impari a fare perfettamente l?acchito, ovvero colpire la palla dalla posizione di partenza e farla ritornare con precisione millimetrica nella stesso punto; cosa che riuscirà a Dino dopo numerosi tentativi e che sancirà l?inizio della sua amicizia con Cirillo. Il protagonista ha come altra grande passione, oltre alla stecca, la sua professione: il ciottolaio, ovvero colui che lastrica di ciottoli le strade, e nella sua vita non può mancare un grande amore, quello della moglie con la quale progetta lunghi viaggi che rimangono solo raccontati in un quaderno. Dino vive la sua vita con orizzonti che lo riempiono di serenità, acciottolando le strade egli vede aprirsi dinnanzi a sé una strada che lo può condurre lontano; sul tavolo verde le linee percorse dalle palle gli ricordano strade e rotte verso mete lontane, e con la moglie, dopo anni di orizzonti fittizi ed immaginati, ha finalmente un traguardo concreto: la nascita di una figlia. Un mattino però arriva la ferale notizia, i ciottoli non sono più economici e verranno sostituiti dall?asfalto, sembra che sull?orizzonte di Dino cali un nero sipario di (puzzolente) bitume. Da questo momento in poi il punto in cui Dino vedeva l?orizzonte comincia a spostarsi, le linee percorse dalle palle sul panno del biliardo non sono più quelle di un tempo. Tutto il mondo del protagonista compie una rivoluzione, abbandona il lavoro diventato opprimente e che gli appare come una strada sbarrata di nero e partecipa ad un torneo di biliardo, facendo debordare dal tavolo verde quelle linee compiute dalle palle per lasciarsi condurre da esse verso una nuova prospettiva di vita e una nuova presa di coscienza che lo porterà verso un nuovo se stesso. In una notte sola sola Dino dovrà misurare la proprio amicizia verso un ex collega, aiutandolo a fuggire, e al termine di questa impresa, tornando a casa dovrà misurarsi con un immenso dolore, la morte della moglie. A questo punto Dino si ritroverà solo, con una figlia nata prematuramente, e troverà la fiducia e la forza di continuare la sua vita nel ricordo della moglie e dei quaderni in cui lei descriveva minuziosamente i viaggi immaginati, come se in qualche piega del tempo questi viaggi fossero stati vissuti veramente. In un momento tutto si mette in moto e comincia a muoversi come percorrendo il bordo di una spirale che porterà Dino ad un punto di perdita dei vecchi riferimenti tale che anche quello che sembrava un termine assoluto, l?acchito, guardando bene non lo è più, la palla non torna mai nell?esatto punto da cui è partita, qualcosa avviene sul suo percorso che la rende differente, come Dino, percorrendo la sua strada è divenuto diverso. Il libro è stato scritto da un giovane (è del 1978), alla sua terza prova letteraria, ma dimostra già una grande capacità narrativa e una notevole abilità nel farci percepire, durante la lettura, anche i minimi cambiamenti di atmosfera con il mutare delle situazioni emozionali dei personaggi. Grossi ha la grande capacità di portarci accanto ai personaggi del libro e farci vivere con loro le stesse sensazioni, il linguaggio è molto efficace e ben curato, mai lezioso o troppo saccente, ma molto diretto e godibile. Ha molto colpito la capacità dell?autore di rendere quasi tangibili gli odori con belle descrizioni. Il libro e, soprattutto, il suo autore sono già meritatamente famosi, e, ça-va-sans-dire, si attende il prossimo lavoro per avere una conferma del suo talento.

  • 05/03/2008 - 12:24 nrico Casciani

    L'acchito

    Il libro di grossi ha delle immagini che riempiono e commuovuono per la sua semplicità (una lama del coltello che cammina tra la buccia e la polpa) è solo sublime. Pare di sentirla- questa lama che arranca. Anche al mio paese si gioca (va) a bigliardo gioco antico e un pò desueto. Nel leggerlo mi è ritornata in mente l'infanzia passata in un piccolo paese toscano e si doveva essere nel 57 o forse nel 58 che al posto dei ciottoli la strada principale del paese fu asfaltata. Con questo spirito ho intrapreso il viaggio nella lettura di "L'acchito" curioso di vedere come un giovane affrontava un mondo per lui, immagino, sconosciuto. E mi permetto di dire che le pennellate rivelano grande padronanza e sensibilità e tuttavia il quadro, nell'assieme, appare con qualche sbavatura. Mi riferisco all'atmosfera che per l'ambientazione farebbe pensare alla fine degli anni 50 appunto con quel gioco così desueto, per quello attività lavorative così datate come il passaggio dal ciottolo all'asfalto e che stride con il bombarolo Biondo (Ceceno?) troppo attuale e un pò sospeso tra figura di sfondo non terminata e personaggio di primo piano. Insomma, e tralascio altri dettagli, il libro "prende" ed è coinvolgente ma alcuni passaggi lasciano perplessi grazie

  • 18/12/2007 - 23:30 Paolo Cacciolati

    Recensione in Bottega di lettura

    L?impressione che mi sono fatto del secondo libro di Pietro Grossi? Che son corso in libreria a cercare i racconti di esordio, Pugni. A Pietro Grossi deve piacere il rischio, sia pure come strada obbligata. C?è questa faccenda del primo romanzo e del secondo libro che poteva essere un disastro. Esordisce a ventotto anni, con Sellerio, e il suo libro è acclamato come una delle rivelazioni dell?anno scorso. Entra pure nella cinquina dello Strega. Chiaro che si finisce per ingenerare un sacco di aspettative, con un romanzo poi, l?ansia della conferma, il critico appostato dietro l?angolo come un brigante, come offrire la gola al pericolo di fallire. E invece. Partiamo dal titolo, questa strana parola che suona dialettale, l?acchito. Il risvolto di copertina ci avvisa che l?acchito è, nel gioco del biliardo, la posizione d?inizio della palla, dal francese quitte, ?quieto, libero?. Bene, secondo me è un?indicazione volutamente fuorviante. E? chiara la funzione di metonimia dell?acchito, ma non nel senso che vorrebbe far credere la seconda di copertina, perché la metonimia si esalterà con un capovolgimento di quella che all?inizio pare essere una situazione tranquilla, un colpo di biliardo banale, tanto per dare avvio alla partita. E? vero che il romanzo si avvia con la fotografia della posizione di partenza, nella vita del protagonista, Dino. C?è il biliardo, le partite con l?amico-maestro Cirillo. C?è il lavoro, un artigianato compiuto e silenzioso, a posare mosaici di ciottoli nelle strade della città (parrebbe Firenze, anche se mai nominata). E c?è una moglie, Sofia, con cui ha un rapporto sereno. Tutto quadra. Tutto sbagliato. Avanzando nella lettura si comprende che il significato dell?acchito non è da ricercarsi nella partenza, quanto piuttosto nel ritorno alla situazione di partenza, dopo che il gioco è stato avviato. Il senso dell?acchito sta nel vedere cosa succede, durante questo ritorno, sta nei modi più impensati, nei passaggi più aggrovigliati attraverso i quali la palla (e la vita) ritorna alla situazione di partenza. E, per delineare come si sviluppa questo ritorno, l?autore accompagna il lettore in una trama che si addensa progressivamente secondo i più classici dettami della narratologia. Due colpi di scena iniziali, incasinamento della storia, conflitti, minacce da varie direzioni, qualche presunto cattivo, situazioni di pericolo, e poi ancora un doppio colpo di scena, fino al rilascio finale, dove la narrazione si quieta. Tutto ciò con un andamento da passista, soprattutto all?inizio. Parte in modo quasi dimesso, poi prende progressivamente forza, come un volano ghisa, fino a percuotersi nella storia con la mazzata finale. E alla fine, guarda caso, si ritorna all?acchito, e all?ultima piccola grande sorpresa. Questo libro sembra un carillion, un meccanismo perfetto. Leggendolo, pensai che sì, funzionava benissimo, era un ottimo prodotto, ma alla fin fine gli mancava la genialata, il colpo d?ali. E invece ala fine arriva pure quello, alla faccia del colpo d?ali, potente come il decollo di un jet. Grossi calibra i tempi, leviga il testo, lo asciuga, non un termine fuori luogo, non un aggettivo di troppo, non una descrizione inutile. C?è tutto quello che ci deve essere e nulla di più. In questo Grossi segue le orme di un altro giovane autore che si è imposto alla grande negli ultimi anni: Davide Longo. Insomma, L?acchito è scritto perfin troppo bene. A cercare il pelo nell?uovo, c?è la figura della moglie di Dino forse troppo poco delineata, come a volerla tenere a distanza, ma mi chiedo se non sia una cosa voluta da Grossi, per rimarcare quel velo che pare separare il protagonista da tutte le cose, anche le più care. Pi etro Grossi non ha manco trent?anni, ma è di una bravura mostruosa, però ciò che colpisce è la maturità nel sapere tratteggiare situazioni e modi di sentire che si pensa appartengano a età più avanzate rispetto alla sua. Questa maturità ?emotiva? si traduce, come dicevo, anche in una notevole maturità di scrittura. Un piccolo esempio. A un certo punto c?è un passaggio di prospettiva magistrale. Nel testo Grossi utilizza costantemente la c.d. finta terza persona, segue il protagonista passo passo, introduce il lettore nei suoi pensieri (Dino si disse che non ce l?avrebbe potuta fare) e mostra solo quello che è filtrato dai suoi occhi (All?interno di quella gigantesca costruzione di cemento che pareva il ventre di un mostro avevano sistemato tre file di quindici biliardi?). Purissimo discorso libero indiretto. Invece, in uno dei momenti decisivi, l?autore passa alla terza persona pura. Dino arrivò fino di fianco al letto di sua moglie, si chinò accanto alla sua testa e le bisbigliò all?orecchio qualcosa che il dottore non riuscì a sentire. In questo momento, solo in questo momento, Grossi abbandona il suo protagonista, lo lascia solo. Lo scrittore (e il lettore con lui) non saprà mai cosa ha detto Dino alla moglie. E non è un artificio stilistico, magari per introdurre un colpo di scena, semmai un modo per rispettare l?intimità del protagonista, evitargli l?intrusione della curiosità del lettore. Bischeraccio d?un Grossi, non è molto che ha smesso di poppar latte dalla tettarella e ti disciplina il talento con il metodo, per di più fingendo di non farlo apposta. Recensione di Paolo Cacciolati, pubblicata il 16.12.07 sul sito http://www.vibrissebollettino.net/bottegadilettura/archives/2007/12/lacchito_pietro.html#more

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