Il giornale di Emanuele

Il giornale di Emanuele

A cura di Alberto Cavaglion

Nel diario di un undicenne ebreo il percorso di formazione di una generazione incuneata tra la libertà dal ghetto portata dalla rivoluzione francese, e la Restaurazione del 1815 che il ghetto ha restaurato.

Un diario, un giornalino di quelli che si scrivevano una volta da parte dei fanciulli lontani per motivi di studio dalle famiglie, sia per tenerle a giorno degli avvenimenti capitati sia per fornire una testimonianza tangibile, attraverso la perizia nel comporre, dell'andamento del proprio percorso di formazione. Ma il carattere straordinario e prezioso di questa memoria lunga un anno consiste nel fatto che a vergarla giorno per giorno, in quel 1822, ad Asti dov'era trasferito proveniente da Chieri, fu un undicenne ebreo. Ed è l'unico documento del genere che ci sia pervenuto. Esistono bensì diari dai ghetti. Ma questo parla, con la voce intelligente e gaia, del suo autore, del momento fuggevole e fondamentale di una generazione incuneata tra la libertà dal ghetto portata dalla rivoluzione francese e da Napoleone, e la Restaurazione del 1815 che il ghetto ha restaurato. Ci sono le avventure, i grattacapi, le nostalgie, i giudizi sugli studi e sui fatti del mondo, i sentimenti verso i cari, le abitudini quotidiane: vi soffia poi uno spirito ansioso di nuova libertà, ormai idealmente fuori dal ghetto (da cui gli ebrei piemontesi saranno liberati nel 1848), e vi traspare l'ethos in formazione di quella classe sociale e culturale che tanta parte avrà nel lato migliore della storia d'Italia: la borghesia piemontese di origine ebraica. E vi è naturalmente il romanzo di formazione, vibratile della naturale poesia adolescenziale e venato dalla malinconia di chi scorge, per la prima volta nella vita, l'esperienza del tempo che scorre. «Ogni giorno - sintetizza Alberto Cavaglion, curatore del Giornale di Emanuele - su una "gazzettuccia prende appunti intorno al voluminoso, ma rustico Galateo" del piccolo mondo cui appartiene, lo stesso da cui discendono Vittorio Foa, Arnaldo Momigliano, Rita Levi Montalcini, Carlo e Primo Levi, che nella vita e nello stile a quel "rustico Galateo" si sono attenuti. È come se fosse data l'opportunità di ascoltare la voce di un nonno-bambino».

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